Amore e odio facce della stessa medaglia. Tanto nelle relazioni umane, così tra uomo e animale. Tralasciando volutamente le incalcolabili bizzarrie a cui gli animali vengono spesso sottoposti, loro malgrado, non è possibile sorvolare su maltrattamenti e violenze che rappresentano veri e propri crimini. Dalla notte dei tempi, l’aggressività verso gli animali ha fatto parte di pratiche culturali che in alcune parti del mondo continuano a sopravvivere. La lotta dei galli, la corsa dei tori, combattimenti tra cani. Nell’antica Roma, il 15 agosto era il giorno in cui venivano sterminati tutti i cani della città a colpi di bastone. Nel Medioevo sacchi pieni di gatti vivi venivano gettati nel fuoco.

“Di fatto non può essere disconosciuta l’esistenza del piacere che deriva dal nuocere” ma la passività di fronte a forme più o meno barbare di abuso su esseri viventi può condurre a derive aggiuntive. Nel corso del tempo si è iniziato a riconoscere agli animali una soggettività, per la quale non provano solo dolore fisico ma anche forme più complesse di sofferenza, assumendo uno sguardo sempre più empatico ed enfatizzando la componente affettiva del rapporto uomo-animale.

Nel 1987 l’aggressione nei confronti degli animali diviene ufficialmente uno tra i sintomi di disturbo della condotta; un’evoluzione possibile di quest’ultimo è il disturbo di personalità antisociale. Si mette in luce la presenza di un filo conduttore, un comune denominatore tra violenza verso gli animali e verso gli umani; questo collegamento prende proprio il nome di Link, per il quale forme di maltrattamento animale ed interpersonale hanno una base comune. Ma non solo.

Assistere come osservatori passivi espone ad un maggior rischio di sviluppare comportamenti aggressivi e attuarli in prima persona. L’animale, che manca del dono della parola e si trova in posizione di dipendenza, rappresenta un soggetto fragile; infatti chi è maltrattante verso gli animali ha maggiori probabilità di porsi allo stesso modo verso altri soggetti fragili: bambini, anziani, disabili. Riconoscere la mancanza di empatia e il maltrattamento verso le creature animali, oltre a rappresentare una forma di civiltà, costituisce un fattore protettivo e preventivo verso la società umana stessa.

Da alcuni dati emerge che nella popolazione “criminale” coloro che hanno commesso aggressioni nei confronti di animali si macchiano di reati più gravi nei confronti di persone, tra cui violenza sessuale, violenza psicologica, persecuzione. Perché la violenza verso gli animali è un campanello d’allarme sociale?

  •  Il maltrattamento degli animali è correlato ad abusi su anziani e minori
  •  Gli abusi sugli animali sono più diffusi nelle famiglie disfunzionali o in cui si verificano violenze domestiche
  • I testimoni di violenza verso gli animali hanno una probabilità 8 volte maggiore di divenire autori di violenza e prendere parte ad episodi di bullismo.

Una ricerca italiana del 2013, condotta da LAV in 11 città distribuite lungo tutto lo Stivale, ha rivelato che il 43% dei 1500 preadolescenti interpellati aveva assistito a forme di maltrattamento verso animali. Il 33% di loro non aveva provato rabbia o dolore in quelle occasioni, ma “una sensazione piacevole”, “indifferenza” o “divertimento”.

La ricerca dell’eccitazione nella distruttività sembra diventare inesorabile in mancanza di stimoli vitali. Un vero e proprio piacere sadico sembra essere il principale motivo che spinge a mettere in atto in prima persona le aggressioni. Tra le altre motivazioni emerse: averlo visto fare ad altri o in televisione.

Laura Magni, Psicologa (Sonda.Life) – ilmegafono.org
 

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