Finalmente siamo arrivati al momento del voto, alla vigilia di questo referendum che, dopo tentativi di sabotaggio, bugie e appelli all’astensione, lascerà ai cittadini l’ultima parola. L’unica che realmente conta. La partecipazione è il nodo decisivo di questa tornata referendaria: il quorum sarà raggiunto oppure avrà avuto la meglio il gioco sporco del governo e del premier che, tra uno scandalo e una telefonata, hanno violato le regole invitando il popolo, sia quello dei loro partiti che gli elettori, a non andare a votare? Vedremo. Di sicuro, quello che speriamo è che gli italiani e gli iscritti ai partiti siano più maturi, consapevoli e liberi di quanto possano immaginare Renzi e compagnia.

L’unico appello che una nazione civile dovrebbe ascoltare, soprattutto considerando il silenzio incomprensibile del capo dello Stato, è quello del presidente della Corte Costituzionale, Paolo Grossi, il quale ha affermato: “Si deve votare: ogni cittadino è libero di farlo nel modo in cui ritiene giusto. Ma credo si debba partecipare al voto”. Ci si augura allora che i cittadini si esprimano, indipendentemente dalle loro idee in merito, su un quesito che riguarda il futuro del nostro territorio. Perché non votare, usare l’astensione per far fallire uno dei pochi strumenti democratici di cui disponiamo per poter scegliere ed esercitare il nostro diritto di cittadinanza, è davvero inaccettabile, è un oltraggio alla democrazia. Il richiamo di Renzi, la fierezza e l’arroganza con le quali ha lanciato il suo appello autoritario sono il segno di un brutto costume italiano e suggeriscono tristi somiglianze con contesti e paesi nei quali i diritti di cittadinanza sono umiliati, vietati, combattuti.

Forse non tutti se ne sono resi conto, ma quanto accaduto con il referendum è uno scandalo da dittatura sudamericana: il mancato accorpamento con le amministrative (scelta del governo che ci costa più di 300 milioni); la data ravvicinata del 17 aprile che ha determinato una non lecita riduzione del periodo necessario per informare i cittadini sull’oggetto del quesito referendario; lo scarsissimo impegno dello stesso governo sull’informazione riguardante le modalità di voto (assoluto silenzio ad esempio sul voto fuori sede); infine, i continui appelli al non voto da parte di molti ministri o di esponenti della maggioranza di governo e del premier stesso. Una continua mortificazione delle regole democratiche.

Per fortuna, il caso Tempa Rossa, gli scandali che hanno riguardato l’ex ministra Guidi, la Total, l’Eni hanno costretto i mass media a occuparsi della vicenda, dando visibilità al tema del petrolio, alle porcherie compiute dalle lobby petrolifere e da una politica che oggi sembra più che mai asservita ad esse. Così gli italiani hanno potuto capire di più, conoscere le notizie relative allo smaltimento illecito di rifiuti in Basilicata, la verità sull’inquinamento in mare come sulla terraferma risultante da indagini, studi e dati confermati anche dal ministero dell’Ambiente.

Il dibattito ha trovato più spazio, i sostenitori del Sì, studiosi, costituzionalisti, organizzazioni ambientaliste di assoluto valore come Greenpeace hanno potuto smentire, con numeri e con informazioni verificate, le tante bugie che circolavano sull’importanza del petrolio per il fabbisogno nazionale e per l’economia, sull’impatto sui posti di lavoro, sulla (falsa) scelta petrolifera della Croazia, sulla presunta inutilità di un quesito fondamentale che, in Sicilia ad esempio, con il Sì impedirebbe la realizzazione della piattaforma Vega B, che con il No potrebbe invece nascere e oltrepassare perfino il limite delle 12 miglia dalla costa. Come ha spiegato, in un suo articolo, il costituzionalista Enzo Di Salvatore, infatti, “la legge non consente che entro le 12 miglia marine siano rilasciate nuove concessioni, ma non impedisce, invece, che a partire dalle concessioni già rilasciate siano installate nuove piattaforme e perforati nuovi pozzi. La costruzione di nuove piattaforme e la perforazione di nuovi pozzi è, infatti, sempre possibile se il programma di sviluppo del giacimento (o la variazione successiva di tale programma) lo abbia previsto”.

Ecco perché, quindi, il mancato raggiungimento del quorum o la vittoria del No aprirebbe la strada alla costruzione di questa nuova piattaforma in Sicilia. Come è noto, noi siamo per il Sì all’abrogazione della norma contenuta nel quesito del referendum, per tanti motivi specifici (che abbiamo ampiamente spiegato e che riassumiamo nell’articolo di oggi a firma di Veronica Nicotra), ma soprattutto perché crediamo in un futuro diverso, che prediliga le energie rinnovabili, un futuro nel quale il mare, i territori, l’ambiente siano risorse da tutelare e da sfruttare nei limiti e nel rispetto della loro intangibilità. Siamo convinti che sia passato il tempo del profitto prima di tutto, che ha portato uno sviluppo basato su un’occupazione non durevole e su una ricchezza minima, lasciando poi gli effetti dannosi e a lunga scadenza sull’ambiente e sulla salute dei cittadini.

Inoltre, al di là delle nostre convinzioni, siamo dell’idea che, comunque la si pensi, bisogna andare alle urne ed esercitare il proprio diritto, esprimere la propria opinione, con un Sì o con un No. Far saltare un momento democratico con il richiamo all’astensione è una violazione del nostro diritto di scelta, che è di tutti e non solo di una parte. Detto ciò, indipendentemente da quel che accadrà domani, dopo il referendum sarà necessario continuare a dibattere e combattere per imprimere con forza una svolta dell’Italia verso un futuro rinnovabile, che investa maggiormente in energia pulita, che riveda in senso positivo le norme a tutela dell’ambiente e della salute, che promuova tutte quelle forme alternative di sviluppo e di economia che da altre parti del mondo (e anche in Italia) sono già realtà.

Bisognerà costringere chiunque vada al governo a privilegiare la salvaguardia dei nostri territori e dell’interesse pubblico, spezzando una volta per tutte il legame perverso con le lobby e i loro interessi privati. Questo Paese si salverà soltanto se saprà ascoltare la voce di chi, davanti a un potere che continua a puntare sul passato, nonostante i danni che certe scelte hanno già prodotto ovunque, guarda avanti e indica la strada più giusta, meno inquinata, più favorevole, più green. Che siate d’accordo o meno, comunque, quel che importa, per adesso, è che facciate il vostro dovere di cittadini, esprimendo le vostre idee con una crocetta su una scheda elettorale. Perché partecipare è l’unico modo per non rinunciare alla democrazia e alla sua vitale dialettica.

Massimiliano Perna –imegafono.org