Si aprono nuovi capitoli nel già intricatissimo scenario della trattativa che sarebbe intercorsa, nei primissimi anni ’90, tra la mafia e pezzi deviati dello Stato italiano. Il 2017 ha infatti portato con sé svariate novità suscettibili di interferire, a vario titolo, sull’andamento di quello che è probabilmente uno dei più importanti (se non il più importante) ed imbarazzanti processi della storia giudiziaria del nostro Paese: quello che si propone di far luce e, possibilmente giustizia, sulla sanguinosa stagione stragista che, nonostante il ventennio intercorso, ancora fa male a tutti gli italiani onesti.

La prima novità è stata, lo scorso 23 gennaio, la condanna a 3 anni, in via definitiva, di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco-boss Vito e super testimone nel processo in questione, per detenzione di esplosivo; nel luglio del 2011, infatti, Ciancimino jr. fece ritrovare nel giardino della propria abitazione 40 candelotti di dinamite, asserendo di averli ricevuti da un misterioso individuo che voleva dissuaderlo dal continuare a collaborare con gli inquirenti, una versione che fu però smentita da alcune telecamere di sicurezza. La recente condanna ha comportato la revoca dell’indulto, concessogli nel 2011 per il reato di riciclaggio, e la sua traduzione in carcere.

Solo pochi giorni dopo, lo scorso 30 gennaio, è arrivata, a peggiorare la situazione di Massimo Ciancimino, una nuova condanna, a 3 anni e 6 mesi, per aver calunniato Rosario Piraino, un agente dei servizi segreti, accusandolo di averlo minacciato: “A causa di queste accuse – ha dichiarato l’ex agente dell’Aisi – ho subito danni finanziari, professionali e familiari”. Queste due condanne, oltre a compromettere la situazione giudiziaria personale di Ciancimino jr., purtroppo minano fortemente la credibilità delle sue dichiarazioni nell’ambito del processo sulla trattativa, credibilità che, nel corso degli anni, lo stesso testimone aveva già profondamente minato con le sue versioni contrastanti, presentando talora documenti manipolati ed affidandosi a dichiarazioni a “singhiozzo”.

Già lo scorso 31 ottobre, quando sono state depositate le motivazioni della sentenza che ha scagionato Calogero Mannino, è stato possibile leggere, nelle parole della gip Petruzzella, una, seppur implicita, forte condanna all’attendibilità delle dichiarazioni e delle prove documentali fornite agli inquirenti dal testimone Ciancimino (ce ne eravamo occupati qui). Un’ultima, chiaramente non per importanza, novità che certamente cambierà lo scenario del processo sulla trattativa, è la recente dichiarazione del boss Totò Riina che, durante l’ultima udienza del processo che lo vede tra gli imputati, si è detto disponibile a rispondere alle domande dei pubblici ministeri. In attesa delle dichiarazioni del boss, che dovrebbero avvenire nel corso dell’udienza del prossimo 16 febbraio, è lecito chiedersi quali scenari questa “collaborazione” porterà con sé: se riuscirà a far luce sulle troppe zone d’ombra o se, al contrario, sarà solo un ulteriore insabbiamento della verità.

Da un lato ci sono le previsioni di Giovanni Annia, il legale dell’ex capo dei capi, secondo cui Riina, lungi dall’ammettere l’esistenza di una trattativa, dirà “ma quale trattativa, se in quel periodo mi cercavano per arrestarmi?”. Dall’altro il comprensibile scetticismo di moltissimi nomi dell’antimafia, i quali ritengono improbabile che il boss si discosti improvvisamente dall’atteggiamento omertoso mantenuto sino ad oggi. Tra i più scettici Salvatore Borsellino, convinto che, “quando parlano personaggi di questo spessore, non c’è da aspettarsi che dicano delle verità”. “Sicuramente – ha dichiarato il fratello del giudice ucciso in via D’Amelio – lancerà messaggi criptici, messaggi in codice, come fanno sempre quei personaggi. Potrebbe lanciare a qualcuno messaggi di questo tenore: ‘Attenzione, perché potrei parlare’.

Dello stesso avviso si è detto anche il magistrato Alfonso Sabella, che ha parlato di “una banalissima scelta processuale di un imputato alla quale non va dato alcun valore epico”. Il magistrato ha anche ammesso la possibilità che nelle parole di Riina ci siano dei messaggi in codice. “È chiaro – ha dichiarato Sabella – che Riina qualcosa la dirà, qualche messaggio lo manderà, quelli più criptici e quelli più chiari”. “Io – ha aggiunto il magistrato – diffiderei di quelli chiari, mi concentrerei su quelli criptici, messaggi che solo gli addetti ai lavori potranno capire, messaggi che non saranno leggibili da tutti”. Restando in attesa dei prossimi sviluppi processuali rimane solo l’amara consapevolezza che si è ancora lontani dalla verità, forse sempre più lontani.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org