Alla faccia dei pessimisti, dei rassegnati, di tutti coloro che spendono il loro tempo a recitare la solita irritante nenia del “tanto non si può far nulla, loro sono sempre più forti”. Alla faccia di Gasparri, di Berlusconi e dei giochetti di potere diretti a spezzare la schiena all’informazione, per controllarla e monopolizzarla. Alla faccia, soprattutto, dei mafiosi, di chi stava già festeggiando per l’ennesimo regalo, ossia quell’improvviso silenziatore da applicare con arroganza alle corde vocali della verità e del giornalismo libero, in un territorio dove i clan comandano e i boss si nascondono. Telejato non chiude. La notizia arriva in un bel pomeriggio di giugno, un giovedì che non dimenticheremo mai. Segue le voci del mattino, la prima graduatoria, quella che identifica e comprende tutte quei soggetti che forniscono contenuti, ma che non stabilisce ancora l’assegnazione della frequenza del digitale terrestre.

Si spera, si incrociano le dita, il telefono accoglie la frenesia di sapere, di avere novità in anteprima. Chiamo Pino, mi spiega che bisogna aspettare, ha il tono della voce che mi sembra ottimista (ma a pensarci bene Pino appare quasi sempre così). Sorridiamo, scherziamo, quindi chiudo con quella sensazione di speranza tipica dei momenti importanti, quelli in cui ti aspetti che stia per accadere qualcosa di buono, di inaspettatamente positivo. Il pomeriggio, bisogna attendere il pomeriggio per avere la certezza e leggere, sul sito del ministero dello Sviluppo Economico che Telejato è salva, che Pino Maniaci potrà continuare a “rompere le palle” ai mafiosi e ai loro amici in doppiopetto.

Partinico non perde la sua voce libera, la Sicilia e l’Italia non perdono il coraggio e il sarcasmo tagliente di quel giornalista con il baffo alla Groucho Marx che, quotidianamente, bastona clan e affiliati, urla nomi e cognomi, smaschera affari loschi e rapporti promiscui tra coppole, lupare e colletti bianchi. Tutto davanti  a una telecamera che trasmette quelle parole e quel sorriso a più di 200 mila spettatori, che puntualmente si sintonizzano, all’ora di pranzo, sulle frequenze di questo piccolo grande baluardo dell’antimafia e del giornalismo dalla schiena dritta. Tre stanze al primo piano di un vecchio palazzo nel cuore del paesino, tre piccole stanze che sembrano una grande fortezza a difesa della libertà. Ce l’ha fatta Pino a vincere questa sua battaglia, ce l’abbiamo fatta tutti noi che ne abbiamo parlato, che abbiamo sperato e che insieme a lui abbiamo creduto che, nonostante le difficoltà, si potesse resistere e sopravvivere.

Gli appelli, i continui passaparola sul web, le mail al ministro che in tanti abbiamo mandato, le iniziative, il coraggio e l’ostinazione di Pino: tutto questo insieme, tutta questa unità meravigliosa ha evitato che Telejato fosse soltanto una realtà destinata a scomparire. Un segnale, una vittoria ma anche un grande simbolo di speranza. Perché ad un certo punto sembrava tutto scritto, in pochi credevamo che fosse possibile evitare lo spegnimento e la chiusura di questa piccola grande emittente. Pino però non ha mai mollato e vederlo combattere, sentirlo determinato e pronto a tutto ha spinto tutti noi a fare qualcosa, a non lasciarlo solo in questa lotta. Ed ha avuto ragione. Perché non sempre i giganti vincono e le formiche muoiono schiacciate.

Ci sono volte in cui i giganti devono fermarsi. Sono quelle volte in cui ti senti legittimato a sognare, in cui capisci che il mondo cambia e che la sua storia non è ancora stata scritta da nessuno, che ognuno di noi può scriverla anche mettendoci solo una goccia di inchiostro da mischiare con le altre. Gli alibi sono comodi ma puzzano. E non servono. Perché si seccano al sole. Un sole che oggi sembra avere il marchio arancione di un’avanguardia coraggiosa, che non stringe lance o pugnali, spade o fucili, ma si è armata di coraggio, libertà e parole. E sono armi che, spesso, fanno tremare anche i giganti e li costringono ad indietreggiare. Soprattutto se queste armi hanno la forma del microfono e della telecamera di Pino Maniaci e della sua straordinaria ostinazione. Per fortuna avremo ancora modo di ospitarlo in casa nostra pigiando il tasto del nuovo telecomando. Ed è qualcosa di cui andare fieri ed essere felici.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org