Siamo andati in via Padova, allo Spazio Ligera per intervistare i Telesplash, una band della quale abbiamo recensito i due album “Bar Milan” e “Motel Paradiso”. Sul palco i cinque aretini ci sanno stare, lo stile accattivante fa il resto e così ballano tutti, anche chi non li conosce.

Come ci si sente a fare musica leggera, o meglio pop, nel senso nobile del termine, oggi, tra tanti che propongono depressione?

È una questione di coerenza con se stessi. Noi siamo solari, quindi suoniamo qualcosa di coerente col nostro modo di essere. Certo, hai ragione, c’è un senso di omologazione, alcuni giocano a fare i profeti, ma tanti profeti fanno tanti errori. Noi vogliamo divertire, perché la musica è per chi suona, e divertirci senza calarci nella parte degli oracoli. Oltretutto percepiamo una sorta di provincialismo, secondo il quale se fai qualcosa di divertente sei necessariamente superficiale, frivolo, invece se fai il serio allora sei un “ganzo”. Una distinzione che in ambito internazionale, per esempio quello inglese a noi particolarmente caro, non esiste. Pensa agli Strokes.

E la provincia, dalla quale proveniamo un po’ tutti, influisce su questo atteggiamento?

Secondo noi sì. Il provinciale possiede una particolare attitudine alla vita, diversa da quella del cittadino. Se osservi bene solitamente è il cittadino che fa il profeta.

I due vostri album portano il nome di due luoghi, Bar e Motel, che fanno parte di un immaginario collettivo al quale, a mio parere, attingete per il vostro lavoro: è stata una scelta precisa?

Quello che noti è vero, sono due luoghi simbolo ma non è qualcosa che abbiamo cercato. Abbiamo scelto per il primo e per il secondo due canzoni precise da usare come title track. Stiamo lavorando al terzo album e avrà qualcosa di diverso in questo senso, ma resterà in stile Telesplash. Però ci sono sicuramente dei riferimenti, anche nel nostro lavoro, a quello che dicevamo prima. Il bar per noi è stato punto di riferimento e Milano, per esempio, è per noi lo stereotipo di città.

Francesco Bianconi (Baustelle) durante la presentazione del loro ultimo lavoro qui a Milano ha detto che il fatto che non si vendano più album è positivo perché incentiva la creatività e fa sì che ci siano meno influenze esterne sul lavoro di un artista. Siete d’accordo?

Non troppo. Nell’ambito delle major vendere e vendere cd interessa necessariamente a tutti. Nell’ambito delle etichette indipendenti è diverso perché è diverso il modo in cui si ascolta e si suona. Per farsi ascoltare (e quindi andare in giro) bisogna avere like e visualizzazioni (su facebook e youtube ndr). È indubbio che la tecnologia consente a tutti di dire tutto, ma forse la qualità ne risente. Se pensiamo a qualche decennio fa, a come si faceva allora, ci si rende conto che il vero obiettivo era arrivare a fare il disco. Una volta fatto, il successo era garantito e si era artisti, gente che viveva di musica, faceva solo questo ed era preparata.

E tra gli artisti italiani in attività chi scegliete?

Verdena, Jang Senato, Jovanotti, Lorenzo del Pero, Telesplash… (uno per ogni componente della band ndr). Ma ce ne sono anche altri: per esempio ci piacciono Brunori Sas e i NoBraino.

Tra poco inizierà Sanremo, che per tanti giovani non ha appeal. Voi come lo vedete?

Sanremo è una vetrina per tutti, consente una visibilità immediata per sé e i propri brani. In questo ha molta utilità per gli artisti anche se risponde ad una logica gerontocratica tipica di questo Paese. Certo è che rimane l’unico luogo in cui possono vederti dieci milioni di persone, il che, per il discorso precedente su album e visualizzazioni, è oggi fondamentale. È un business con le sue logiche, in cui la qualità non è ai primi posti, o meglio, in cui ci si adegua a uno stile, spesso non proprio, tipicamente sanremese. I Telesplash (ridono, ndr) andrebbero al festival, al controfestival, al semifestival!

Usciamo nella notte tetra, salutandoli mentre caricano gli strumenti sul furgone. Pensiamo che non fa proprio tutto così schifo, che c’è chi ci crede e a volte basta, pensiamo alle ultime parole che ho segnato sul taccuino: “Se non c’è cultura non c’è musica, ma la musica fa cultura”.

Penna Bianca –ilmegafono.org