Un recente rapporto di Legambiente, Cave 2017, ci mostra un quadro abbastanza critico per quanto riguarda la situazione delle attività estrattive e i conseguenti impatti sull’ambiente e sull’economia. Pare che siano ben 4.752 le cave attive e 13.414 quelle dismesse nelle regioni in cui esiste un monitoraggio, per un fatturato di tre miliardi di euro. Ma se si tiene conto anche delle regioni non monitorate, il dato potrebbe salire ad oltre 14mila cave abbandonate. Inoltre, è importante sottolineare che, in nove regioni italiane, non sono in vigore piani cava e le regole risultano quasi ovunque inadeguate a garantire tutela e recupero delle aree. 

Per quanto riguarda l’aspetto economico, invece, bisognerebbe ridurre il prelievo di materiali, dare una nuova vita ad una cava dismessa e percorrere la strada del riciclo degli aggregati. Una strada già percorsa da tanti paesi europei che hanno deciso di puntare sul riciclo degli inerti. Nel nostro Paese, sono pochi gli esempi di questo tipo, dato che si continua a scavare troppo e male, e la strada del riciclo, malgrado la spinta delle direttive europee, è ancora molto indietro.

Nel rapporto, presentato a Roma nel corso di una conferenza stampa a cui hanno partecipato diversi politici, sono raccolte non solo storie da tutta Italia, che raccontano l’impatto sul paesaggio italiano, ma anche ciò che di buono è stato realizzato nella Penisola: esempi virtuosi sulla gestione dell’attività estrattiva e il recupero delle cave dismesse per creare parchi e ospitare attività turistiche, ma anche cantieri dove sono stati usati materiali provenienti dal riciclo invece che sabbia e ghiaia.

“Per Legambiente occorre promuovere una profonda innovazione nel settore delle attività estrattive – dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente –, dove non è utopia pensare di avere più imprese e occupati nel settore, proprio puntando su tutela del territorio, riciclo dei materiali e un adeguamento dei canoni di concessione ai livelli degli altri Paesi europei”.

Inoltre, dal dossier emerge che la Lombardia è la prima regione per quantità cavata di sabbia e ghiaia, con 19,5 milioni di metri cubi estratti, seguita da Puglia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna. Per quanto riguarda le pietre ornamentali, le maggiori aree di prelievo sono: Sicilia, Provincia Autonoma di Trento, Lazio e Toscana che insieme costituiscono il 53,4 per cento del totale nazionale estratto. Le Regioni che invece cavano più calcare sono Molise, Lazio, Campania, Umbria, Toscana e Lombardia, che superano singolarmente quota 1,5 milioni di metri cubi.

Un’altra attività certamente redditizia è prelevare e vendere materie prime del territorio. In media, nelle regioni italiane, si paga il 2,3 per cento del prezzo di vendita di sabbia e ghiaia, ma ancora più consistenti sono i guadagni per i materiali lapidei dove sono in forte crescita il prelievo e l’esportazione di materiali. In molte regioni, infine, addirittura si cava gratis: succede in Valle d’Aosta, Basilicata, Sardegna, ma anche Lazio e Puglia, dove si chiedono pochi centesimi di euro per cavare inerti.

Legambiente propone allora alcune opzioni per rilanciare il settore: rafforzare la tutela del territorio e la legalità attraverso una legge quadro nazionale che vieti l’attività di cava in alcune zone e obblighi il recupero contestuale delle aree e la valutazione di impatto ambientale; stabilire un canone minimo nazionale per le concessioni di cava per equilibrare i guadagni pubblici e privati e preservare il paesaggio. Nel Regno Unito, ad esempio, è applicato un canone pari al 20 per cento del valore di mercato.

In egual modo, in Italia si recupererebbero 545 milioni di euro all’anno di incassi per le regioni e si ridurrebbe il prelievo da cava attraverso il recupero degli inerti provenienti dall’edilizia, per andare nella direzione prevista dalle Direttive Europee e riuscire così ad aumentare il numero degli occupati e risparmiare la trasformazione di altri paesaggi. 

Veronica Nicotra -ilmegafono.org