Sarebbe bello vederle adesso le facce del sindaco di Brescello, Marcello Coffrini, e del parroco, don Evandro Gherardi. Sarebbe bello sbattere di fronte ai loro occhi le parole irresponsabili pronunciate alcuni mesi fa, quando i ragazzi di Cortocircuito, una web tv studentesca di Reggio Emilia, pubblicarono una video-inchiesta sulle infiltrazioni mafiose nella bassa emiliana, puntando il dito principalmente sul clan Grande Aracri, che proprio in quel di Brescello ha piantato le radici. Sarebbe bello vedere se qualcuno ha ancora il coraggio di dire che la mafia a Brescello non esiste e di ripeterlo tre volte come ha fatto, in pubblico, il sacerdote che, evidentemente, da don Camillo ha ereditato solo la veste.

Chissà se il sindaco Coffrini confermerebbe la sua buona impressione (“persona gentile ed educata”) su Francesco Grande Aracri, esponente di spicco della famiglia originaria di Cutro (Crotone), condannato in via definitiva e sottoposto a regime di sorveglianza speciale. E il turismo? Sono davvero i ragazzi di Cortocircuito a creare problemi al turismo, come sosteneva con fare accusatorio il parroco, o forse è la mano unta e lercia del malaffare che mescola e sporca l’economia della regione e si nutre dell’indifferenza complice e dell’omertà di chi nega tutto?

La risposta è scontata, soprattutto adesso che le inchieste della magistratura hanno scoperchiato un sistema che coinvolgeva l’intera società emiliana, dall’imprenditoria alla politica, passando per giornalisti e forze dell’ordine: tutti al servizio della ‘ndrangheta, sotto la regia centrale dei Grande Aracri, proprio quelli che qualcuno definiva persone che vivevano “a basso livello”, senza mai disturbare. Imprenditori con qualche difficoltà ma che poi erano riusciti a ripartire, cosa che al sindaco di Brescello faceva “piacere”. Un sistema criminale ben radicato, capace di travalicare la regione emiliana e di interessare altre regioni e persino altre nazioni. Ovviamente, come sempre accade, grazie a un numero impressionante di complici, ad ogni livello.

L’Emilia oggi scopre di essere infetta, si risveglia intontita da un pugno che fa male, da una verità per troppo tempo negata, nonostante gli agguati, le inchieste giornalistiche, i roghi dolosi, le attività di denuncia di tante nuove e bellissime realtà antimafia, formate per lo più da giovani che cercano, con coraggio civile, di far aprire gli occhi a chi si rifiuta di guardare. La retorica del meridionalismo, della criminalità geograficamente collocabile, del Sud incancrenito e del nord libero e trasparente, ha subito l’ennesimo colpo. Accade ovunque, è accaduto in Lombardia, in Liguria, in Piemonte, in Veneto e persino in Toscana e in Umbria. Non esistono regioni libere dalla mafia, zone franche di legalità e di economia pulita.

L’Italia, in ogni settore che produce interessi, compreso quello sportivo, è sotto l’attacco dei clan e dei loro referenti. E se le origini storiche delle organizzazioni criminali sono meridionali, le complicità, le connivenze, i comportamenti illegali, le collusioni hanno carte di identità emiliane, venete, umbre, abruzzesi, piemontesi, lombarde, liguri, toscane, e così via. L’unità d’Italia, mai realmente compiuta sul piano politico, economico e sociale, si realizza perfettamente dal punto di vista mafioso. Il malaffare, i soldi, il potere hanno unificato le esperienze di cittadini e amministratori di tutte le aree del paese. L’omertà, il silenzio complice, la negazione rabbiosa, che tanto si facevano risalire, con una forzatura propria dello stereotipo, alla natura dei meridionali, in realtà si svela come una caratteristica propria di chi si trova in mezzo al potere criminale.

Al nord si fa ancora fatica ad accettare l’idea di essere come tutti, né superiori né inferiori per coraggio e senso di giustizia. La maggior parte tace e rifiuta la verità, ma per fortuna altri (ci si augura che aumentino nel numero e nell’impegno) si sono svegliati da tempo e hanno iniziato una sfida durissima che sta portando i primi risultati. In Emilia sta crescendo una grande consapevolezza antimafia che pervade soprattutto i giovani, i quali spingono verso una direzione che unisca la presa di coscienza all’adozione di misure atte a tutelare la legalità e liberare l’economia del territorio dall’ingombro tossico delle mafie.

Mai come adesso è importante, però, che queste spinte trovino una sponda non solo nei magistrati e nelle forze dell’ordine, ma anche e soprattutto nella politica, chiamata ad intervenire e a ripulire il campo da collusioni, superficialità e logiche maligne di compromesso o di autoconservazione. Di segnali concreti, in tal senso, dal governo non ne arrivano. Così come non arrivano le dimissioni, ad esempio, del sindaco di Brescello, Marcello Coffrini, che a questo punto sarebbero un atto dovuto oltre che un modo per conservare almeno un briciolo di dignità politica e di rispetto per l’istituzione che si rappresenta.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org