La parentesi di umanità è finita, ma in fondo non è mai veramente iniziata. L’emotività esplosa di fronte alla foto del bambino siriano riverso sulla spiaggia di Bodrum è già un ricordo. Esattamente come avviene ogniqualvolta che un fatto produce qualcosa che si arresta alle emozioni senza spingersi verso un ragionamento, un’analisi compiuta delle condizioni, delle cause, delle carenze, delle responsabilità, delle soluzioni ipotizzate e di tutto quello che ruota attorno a quel fatto. I profughi sono stati in parte accolti, poi sono tornate le chiusure e soprattutto hanno ripreso fiato le voci e le posizioni che vogliono che l’Europa continui a essere una “cittadella-fortezza”.

“Bisogna tornare a controllare i nostri confini”, fermare “il caos alle nostre frontiere” e gestire la situazione non più tenendo “porte e finestre aperte”: sono solo alcune delle parole pronunciate dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, poche settimane fa. A quanto pare, una posizione condivisa che produrrà tutta una serie di decisioni che hanno un obiettivo preciso, ossia scaricare sempre di più verso l’esterno le responsabilità europee, con l’Ue che si limiterà ad accogliere, distribuendoli, i profughi dalle zone di guerra dichiarata, rispedendo subito all’indietro coloro che, secondo gli uffici preposti, non avranno diritto a rimanere.

Così si stanziano soldi e si cercano accordi con i paesi di origine, si minacciano sanzioni, si programmano riaccompagnamenti, si mettono al bando i cosiddetti “migranti economici”. Sono 400mila quelli che, secondo quanto riportato dal Times, si prevede di espellere e riportare nelle rispettive patrie nelle prossime settimane. Si tratta di migranti arrivati nel 2015 e la cui domanda di asilo è stata respinta. I governanti europei pensano che sia giusto così e giocheranno la carta del “dobbiamo pensare ai rifugiati, non possiamo accogliere tutti”. Di fronte a chi li accuserà, si difenderanno mostrando le immagini di Monaco di Baviera e di Vienna, diranno che la loro umanità è stata già dimostrata e che però è necessario reintrodurre delle regole, andare oltre l’emergenza, scegliere delle priorità, che sono appunto i rifugiati.

Perché per questa Europa gli altri migranti diritti non ne hanno e se per caso qualcuno dovesse permettersi di insistere su questo tema, gli risponderanno che quello è estremismo terzomondista, che è la logica ingenua di chi non vorrebbe frontiere, di chi non ama la propria nazione e non pensa prima al benessere dei propri connazionali, che c’è una crisi in corso e non possiamo pensare anche agli altri e così via. Tutte argomentazioni sterili, povere come povero è il vocabolario, linguistico, culturale e umano, di chi le utilizza. Lo abbiamo scritto molte volte che, alla fine della breve terapia pubblica di riabilitazione umana successiva alla tragedia di Bodrum, rimaneva solo una speranza di cambiamento, ma che questa speranza sarebbe stata difficile da realizzare e che la strada era tutta in salita.

I migranti economici sono stati tagliati fuori completamente dal dibattito, da qualche anno sono scomparsi dal raggio di azione e di interesse della politica. La fame e la miseria non sono più argomento di discussione, non emozionano né commuovono, perché la crisi ha ingigantito gli egoismi e deformato la realtà, prefigurando un falso conflitto di povertà fra le classi medio-basse europee e i poveri dei paesi oltre la linea del Mediterraneo, grazie ad anni di politica mirata a creare tensione, paura, guerra tra eserciti di poveri, senza definire in maniera corretta la fisionomia delle povertà in gioco, le differenti dimensioni dei due eserciti, le diverse possibilità di soluzione.

Così, i migranti economici sono stati dipinti come parassiti da scacciare, mentre nella realtà sono divenuti esseri umani con l’ansia della scadenza oppure fantasmi costretti alla clandestinità, allo sfruttamento schiavista nei luoghi di lavoro, a una vita che non dà prospettive, agganciata alla flebile aspettativa che venga fuori una legge che possa consentire un giorno la regolarizzazione e quindi, finalmente, un’esistenza normale. La scelta dell’Ue, anticipata dal giornale britannico ma già ampiamente immaginata da molti, è l’ennesima prova dell’egoismo di un continente che si è costruito con la rapina delle risorse di quei paesi dai quali, oggi, le vittime di quel furto giungono per chiedere almeno gli avanzi, le briciole del bottino, con le quali poter sopravvivere.

Oltre ai migranti economici, poi, c’è un altro tema da considerare, che riguarda le richieste di asilo e le modalità di gestione da parte di alcuni paesi europei. Se prendiamo il caso dell’Italia, ad esempio, sappiamo che molti migranti arrivano fuggendo da nazioni non in guerra, ma nelle quali vi sono regioni attraversate da conflitti che generano discriminazioni, persecuzioni, violenze. Ci sono aree di enorme instabilità, come il sud del Senegal, la regione di Casamance, la Guinea Bissau e la Guinea Conakry, alcune parti della Costa d’Avorio, dove le ragioni per fuggire non mancano e sono legate all’esigenza di sottrarsi alla violenza e al rischio di essere ammazzati. Per non parlare delle zone nelle quali milizie fondamentaliste, come ad esempio Boko Haram, compiono massacri terribili.

Le questioni indipendentiste, i regimi sanguinari, le frange terroristiche e la crudeltà dei narcotrafficanti sono variabili che, troppo spesso (per non dire quasi sempre), vengono ignorate o minimizzate da chi dovrebbe raccogliere le richieste di asilo. Come accade da anni, nei centri di identificazione italiani molto spesso i migranti vengono sbrigativamente interrogati e, a meno che non provengano da zone riconosciute come teatro di guerra, ricevono il decreto di espulsione senza alcuna spiegazione, classificati come migranti economici, senza nemmeno che vengano ascoltate le loro storie. Poi, se hanno fortuna, trovano un legale o un’associazione o una comunità che li informano e attivano i ricorsi, mettendo per iscritto le loro storie che, tra l’altro, non basta che siano reali e sofferte, ma devono essere convincenti anche più del normale, in quanto devono superare il pregiudizio radicato di chi, da una scrivania, dovrà decidere della loro vita e del loro futuro.

Questo è lo scenario di negazione dei diritti nel quale annaspa l’Europa unita. Questa è la realtà disegnata dai provvedimenti che l’Unione è pronta ad adottare. Lasciate perdere le lacrime, gli applausi, i treni in arrivo nelle stazioni, le aperture di alcuni governi. Dimenticate tutto. Erano solo un modo per costruirsi un alibi prima di compiere l’ennesimo delitto.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org