Ci sono le pistole, i morti ammazzati, il tanfo irrespirabile della camorra e quello più raffinato e sottile dell’inettitudine politica, gli aliti acidi della cialtroneria popolare che soffiano e sputano in faccia a chi si permette di dire o scrivere che questa è la realtà e che esiste, disturba, ferisce, uccide. Un inferno tangibile. Poi, c’è la bellezza, che è integra, forte, dà strattoni, si fa spazio in mezzo a quell’inferno, profuma di dignità, cultura, speranza, impegno e sacrificio. A Napoli, nelle ultime settimane, le luci si sono accese sul rione Sanità, un popoloso quartiere con circa 50mila abitanti, un’area urbana nella quale la criminalità si muove indisturbata, mentre lo Stato osserva, immobile, le pallottole che rimbalzano sui muri o sulle finestre o si conficcano sul corpo dell’ennesima vittima.

Diciassette anni: l’età di quel ragazzo esanime sul selciato di cui l’Italia si è di colpo accorta. Una tragedia, il rumore doloroso del fallimento non di Napoli ma dell’intera nazione. La paranza dei bambini, l’ha chiamata Roberto Saviano (leggi qui) in un suo durissimo attacco ai responsabili, alla politica, alle istituzioni che latitano, ma anche alla cittadinanza che non vuol vedere, che chiude gli occhi e tira avanti, perché “finché si ammazzano tra loro” va tutto bene. E allora giù con le solite polemiche, perché quando ti permetti di scrivere la verità sulla realtà che conosci e che hai vissuto, specialmente se riguarda la tua città, la tua terra, ti massacrano, accusandoti di buttare fango, di esserti fatto i soldi e di sputare adesso nel piatto dove hai mangiato. Anche se in quel piatto non ci hai mangiato affatto e per di più hai dovuto pure pagare il conto alla cassa delle minacce e delle condanne a morte.

Come se dire la verità sulle cose brutte, nascondesse le cose belle. Che invece ci sono sempre e anzi la loro bellezza risalta di più e dovrebbe spingere i distratti o i timidi a proteggerla con ancora più affetto e attenzione, dal momento che è una pietra preziosa che cresce nonostante quello che c’è attorno. Roberto Saviano lo sa e in quel suo articolo sull’inferno ha parlato anche della bellezza, citando, tra le cose positive di Napoli, il Nuovo Teatro Sanità e il suo direttore Mario Gelardi, al quale ha poi dedicato un altro articolo su l’Espresso. Gelardi è un regista, scrittore e autore teatrale dalla lunga esperienza, uno di quelli che potrebbe vivere di rendita in qualunque teatro prestigioso del nord Italia o nei circuiti più “borghesi”. Basti pensare al successo internazionale ottenuto con lo spettacolo “Gomorra”, tratto dall’omonimo romanzo e scritto insieme allo stesso Saviano.

Mario Gelardi, invece, è rimasto lì nel cuore di Napoli a portare avanti la sua idea di teatro civile. Il Nuovo Teatro Sanità che egli dirige è un luogo di cultura ma anche di “promozione” dell’essere umano dentro un rione nel quale l’arte della recitazione ha messo il suo timbro: la Sanità, infatti, ha dato i natali a Totò e ha ispirato una commedia di Eduardo (“Il Sindaco del Rione Sanità”). Un quartiere nel quale operano anche altre realtà che provano a costruire un domani migliore. Bellezza, come bello è il teatro nel quale Mario, a cui mi lega un rapporto di profonda stima e amicizia, porta avanti il suo progetto, con grande determinazione. Ho fatto con lui una breve chiacchierata, una decina di domande, proprio poco dopo l’articolo sul suo teatro pubblicato da Saviano su l’Espresso. Ecco cosa ha risposto, con schiettezza e senza rinunciare alla sua consueta e splendida ironia.

Da tre anni dirigi giovani che vogliono imparare e che magari sono andati poco a scuola, ma studiano Pasolini e Shakespeare. Chi sono questi ragazzi del Nuovo Teatro Sanità che l’Italia dovrebbe conoscere? 

Sono un gruppo vario ed eterogeneo, per così dire. Il più piccolo ha 17 anni, il più grande 25. Sono tutti diplomasti o quasi, nessuno di loro ama la scuola, solo una, Anna, ha deciso di frequentare l’università. Anna non voleva iscriversi per non gravare sulla famiglia, allora abbiamo deciso di aiutarla noi insieme a Roberto Saviano, il quale le pagherà le tasse universitarie. Solo pochi di loro vogliono fare gli attori, tutti cercano semplicemente un luogo dove stare.

Che significa fare teatro in un rione difficile come la Sanità?

Direi cosa significa fare teatro a Napoli piuttosto: significa essere ignorati dalle istituzioni, significa essere visti come degli accattoni che cercano sussistenza. Ma a noi delle istituzioni non ce ne frega nulla. Fare teatro nella Sanità vuol dire gridare i propri diritti, investire nel futuro.

A Napoli e al rione Sanità si spara, Saviano ha raccontato la verità, ma il sindaco ha reagito malamente e una parte della gente ha attaccato lo scrittore accusandolo come sempre di infangare la città. Qual è il tuo pensiero?

Devo per forza parlare del Sindaco? Posso parlare solo di Saviano?

Come preferisci…

Raccontare un problema non significa crearlo. Se Saviano parlasse del Vesuvio, della pizza e della sfogliatella, la camorra non sparirebbe, la disoccupazione non sparirebbe, la povertà e il degrado non sparirebbero.

Roberto Saviano, oltre a essere un amico tuo e del tuo teatro, ha posto l’accento sul vostro lavoro e sull’importanza di quel che fate e sta sostenendo concretamente i vostri ragazzi. Per questa ragione ci sono tanti che vi scrivono insulti pieni di odio. Verso chi? E come ti spieghi questa cosa?

A noi ci insultano in due modi: per un pizzico di gelosia, “perché parla di voi e non di noi”, e poi per interposta persona, usano noi come tramite per insultare Roberto. C’è un profondo odio di molti napoletani verso Roberto, un odio che andrebbe studiato.

Per fortuna c’è anche chi lo apprezza. Secondo te, vista la notorietà di Saviano, le istituzioni sia locali che nazionali o lo stesso mondo del teatro adesso faranno qualcosa per aiutarvi?

Non credo, almeno fino a ora zero.

Come mai?

Semplice. Non serviamo.

Non c’è qualcosa che proprio vorresti dire al sindaco De Magistris? 

Come va? 

Il vostro progetto è stato considerato insufficiente dal Mibact che non vi ha dato accesso ai fondi, le istituzioni sono state sempre indifferenti in tutti questi anni, in più avete subito atti di vandalismo. Quanto ti costa personalmente cercare di fare qualcosa di utile per la città in mezzo a tutto questo?

Mi costa insonnia e diabete.

Ti sarai chiesto mille volte perché lo fai, perché non vai a lavorare altrove. Che risposta ti sei dato e ti dai?

Semplicemente che sono dove vorrei essere.

Qual è il futuro del Nuovo Teatro Sanità?

Il futuro sono i miei ragazzi, il fantastico gruppo di professionisti che condivide con me questa esperienza. Io non sono il più importante ma soltanto il più in vista.

Un’ultima domanda: sulla querelle relativa alla camorra che sarebbe nel Dna di Napoli, si sono espressi in molti, da Cantone allo stesso Saviano. Qual è il tuo parere?

Direi che la malattia la sappiamo. Un’idea per la cura?

Massimiliano Perna –ilmegafono.org