Quando si giunge alla fine di un anno come questo (per noi è l’ultimo numero del 2015) e si ripercorre il carico di angosce, orrori e dolori che, come purtroppo spesso accade, si lascia dietro, si avverte umanamente il bisogno di darsi una pausa. Di firmare una tregua con tutto quello che ci circonda. E non c’entra lo spirito natalizio, ma la necessità psicologica di prendere fiato. Abbiamo raccontato e commentato, in questo 2015, tanti fatti gravissimi: gli atti di terrorismo, le bombe, l’esodo di centinaia di migliaia di profughi, le violenze durissime, gli infiniti naufragi, l’ignobile crudeltà di un’Europa che continua a sbattere la porta in faccia a chi bussa, disperato, implorando aiuto. Un’Europa che, con appesa sul muro la foto di un bambino curdo morto su una spiaggia, firma direttive e decreti atti a ricacciare indietro altri bambini, adolescenti, donne, uomini, raccogliendoli a ridosso delle periferie interne (e non solo) e buttandoli tra le fiamme di inferni dai quali erano riusciti a scappare.

Per non parlare dell’ultimo atto di violenza, ossia l’ammissione dell’uso della forza per costringere i migranti arrivati in Italia a lasciarsi prendere le impronte digitali. Un diktat cocciuto e illiberale, che dimostra l’incapacità di questa classe politica europea di comprendere le ragioni, i perché che risiedono dentro ai fatti. Siamo in un continente spietato che pretende l’identificazione forzata senza capire che la soluzione pacifica sarebbe permettere al migrante di chiedere asilo in uno Stato diverso da quello nel quale approda. Questo è soltanto uno dei tanti eventi che avvelenano la coscienza di chi non riesce ad accettare l’ingiustizia che si compie quotidianamente (anche nel periodo natalizio, statene certi) e alla quale si aggiunge la meschina e scientifica costruzione della paura, rispetto alla quale il terrorismo dell’Is e gli attentati realizzati nel cuore dell’Occidente sono perfettamente e strategicamente funzionali e utili.

Senza dimenticare poi quello che avviene all’esterno dei nostri confini dorati, dove le bombe “intelligenti” uccidono civili inermi, consuete vittime delle disfide tra poteri. Allora, come si fa a chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie dinnanzi a un mondo che urla di dolore? Cosa se ne fanno, le vittime, di una solidarietà a tempo che si smarrisce tra i lustrini e le vetrine sempre aperte delle nostre città? Sia chiaro, lo ribadisco, è giusto anche non perdere le cose belle, i momenti di pace familiare, di gioco, di allegria. Non è una colpa vivere in pace. Nessuna intenzione, dunque, di far la morale a qualcuno, perché credo che tutti abbiano il diritto di staccare la spina e di vedere che la vita riserva anche momenti belli che vanno goduti. A patto, però, che ciò non diventi un alibi e che non prosegua quotidianamente. Perché di sofferenza in giro ce n’è a quintali e anche di indifferenza ne abbiamo troppa.

Ecco, allora, va bene darsi tregua, ma almeno cerchiamo di non dimenticare la miseria e l’agguato alla speranza che segnano questa epoca, proviamo a utilizzare il tempo libero anche per riflettere, per guardare dentro alla nostra umanità, che sia essa religiosa o laica, e a quella degli altri, per valutare obiettivamente le nostre azioni, il contributo che possiamo dare e che stiamo dando adesso, ma anche per rileggere nella maniera più corretta la storia del mondo e dei credi e delle idee che lo hanno attraversato. La solidarietà non ritengo che vada nominata, perché sinceramente associarla a un dato momento dell’anno è quantomeno offensivo, dal momento che essa non dovrebbe conoscere “fasi” e “periodi” né avere soluzioni di continuità.

Ciò detto, vogliamo chiudere questo 2015 con gli occhi rivolti al mondo e senza auguri generici per un futuro migliore, più sereno, eccetera. Perché sarebbe da ingenui, come quando si affida a una stella cadente o alla fiamma tremante di una candela l’opportunità di agguantare un sogno o un obiettivo. Quello che possiamo fare, ogni giorno e non solo alla fine di un anno, è impegnarci, fare in modo che, anche con pochi mezzi, sia possibile dare voce a chi vive nel silenzio della sua dignità ferita, e dare ampio spazio a chi, per una fede pura o per un’idea laica di mondo, ogni giorno opera a fianco di quegli esseri umani che la società calpesta e tratta da scarti da smaltire (vi consiglio di leggere la riflessione e gli auguri di un prete di strada sul nostro numero di oggi), a chi rischia in prima persona per un pizzico di giustizia in più, a chi prova a fare informazione in mezzo a una palude di ingannatori e di fachiri a libro paga, a chi si assume le responsabilità che altri aggirano, a chi resiste e combatte nella precarietà e nell’incertezza, muovendosi dentro a un mondo del lavoro nel quale l’individualismo, legato alla primazia del profitto e del consumo, ha raggiunto livelli inaccettabili, producendo effetti preoccupanti di contrazione (accettata da buona parte della gente) dei diritti dei lavoratori.

A tutti loro, in qualsiasi ambito vivano e lottino, non vanno solo i nostri auguri, ma tutto il nostro sostegno quotidiano, che è molto più importante. Per quanto riguarda il nostro sito, la nostra redazione, ci avviamo a quel 2016 durante cui celebreremo il decimo anno di attività, un’eternità per un semplice spazio che prova a fornire una informazione alternativa, un punto di vista critico su quello che accade. Di questo 2015, dunque, tra le poche cose belle, ci portiamo l’affetto con cui ci seguite e condividete i nostri contenuti, che siano articoli o vignette, e la speranza di continuare a esserci ancora a lungo in futuro, con lo stesso spirito e con quella dannata e seducente illusione che prima o poi, martellando sulla testa, sul cuore e sulla coscienza della gente (lo stomaco preferiamo lasciarlo ad altri), attraverso il confronto, la cultura e l’attenzione incondizionata al valore inestimabile della dignità umana, si possano davvero cambiare in meglio le cose. Anche in piccolo, anche partendo dal basso.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org