Sono in corso gli Stati generali dell’antimafia e Don Ciotti, alla vigilia, ha parlato a Repubblica con grande cognizione di causa risollevando delle ottime questioni, soprattutto utili al fine di risvegliare le coscienze addormentate. In particolare, la strigliata rivolta ai colleghi dell’antimafia che, come afferma il sacerdote, non deve essere “una passerella” (leggi qui l’articolo completo). Il volontariato e l’impegno civile prima di tutto non possono essere l’occasione per vendere o vendersi.

L’occasione è quella di lavorare e di coordinare tanti sforzi che rischiano di essere dispersi. Ma forse il punto più importante lo tocca parlando della società e non della mafia. Parla di politica e di burocrazia ma anche del fatto che lo Stato, nei suoi apparati, deve essere sociale e fornitore di benessere, non solo essere trasparente e, in qualche modo, vittima di attacchi giustificati.

A sentire parlare di società e di mafia sembra di rileggere il senso di una frase profonda scritta da IMD nel suo libro “Catturandi”. Scrive il poliziotto siciliano: “un arresto è un fallimento per la società”. È questo il senso delle parole di Don Ciotti che ci riportano sulla giusta via dell’interpretazione e della lotta al fenomeno mafioso. Non si tratta, una volta di più, di una questione prettamente giuridica, ma sociale e quindi politica. Perché le leggi sono l’espressione dei rappresentanti dei cittadini.

Richiamare la società civile alle proprie responsabilità: forse è questo il messaggio migliore che si può lanciare.

Lo si può fare partendo dal concetto, a chi scrive molto caro, di “legalità malleabile” di cui parla anche Ciotti e che è, effettivamente, quanto di più pericoloso ci possa essere. Perché è un atteggiamento che recenti leggi, come l’eliminazione del falso in bilancio, o certe discussioni, come quella sul riciclaggio di denaro, rischiano veramente di rendere prassi e quindi di far gradualmente accettare.

Penna Bianca -ilmegafono.org