Tutto, in Italia, sembra essersi fermato. Da settimane il dibattito è fossilizzato sulla contrapposizione tra le diverse forze politiche e tra le correnti al loro interno. La partecipazione dell’opinione pubblica è a livelli massimi, toccando spesso il limite dell’ossessione. Ma solo per vicende strettamente politiche o partitiche, per i loro protagonisti. Nel frattempo, sembra banale ricordarlo, ma i problemi non si fermano, le ingiustizie vanno avanti, così come le assurdità di un Paese che andrebbe cambiato nel suo profondo, nella sua essenza morale e politica, più che nella sua forma costituzionale. Dalla cronaca giungono le solite notizie che fanno rabbia, che trovano origine nelle cattive condotte o nelle consuete assurdità normative.

Delle tante bruttezze italiane seppellite dal dibattito post referendum, ce ne sono due che risaltano: una arriva dalla Sicilia, l’altra dalla Puglia. La prima riguarda la possibile, prossima scarcerazione di una decina di mafiosi di spicco di alcuni clan del palermitano. Affiliati arrestati al termine di una lunga operazione antimafia, coordinata dalla Dda, che due anni fa aveva azzerato un gruppo criminale potente e ben radicato con accuse pesanti: estorsioni, omicidi, tentati omicidi, danneggiamenti. Adesso rischiano di uscire, perché il Gup che ha emesso la sentenza un anno fa non ha ancora depositato le motivazioni. Così i termini di custodia cautelare stanno per scadere e anche la sentenza d’appello, che eviterebbe la scarcerazione, non riuscirà ad arrivare entro i termini (quattro mesi).

Pertanto, a breve, liberi tutti. E tra questi anche un ergastolano e un altro affiliato condannato a 30 anni per omicidio, come spiega un articolo di Repubblica. Non è la prima volta e non sarà l’ultima. In Italia, le operazioni di polizia che producono risultati importanti e che giungono a conclusione dopo mesi o anni di indagini, spesso vengono vanificate da vizi procedurali, errori, ritardi, mancanze. Non è questione di responsabilità, non sappiamo per quale motivo il Gup non sia ancora riuscito a depositare le motivazioni e non dubitiamo che vi sia stato un impedimento oggettivo, ma resta il fatto che, per un problema di tempistiche o di comportamenti o di regole processuali attuali, mesi e anni di lavoro vengono sprecati e, soprattutto, una decina di personaggi legati alla criminalità organizzata si ritrovano in libertà.

Questi sono vuoti di diritto che nessun governo è mai riuscito a colmare e sono ferite gravi alla giustizia di un Paese nel quale, spesso, c’è chi non denuncia proprio per paura di dinamiche simili. Quante volte, infatti, gli estortori denunciati si ritrovano fuori per meccanismi simili? E come pensate che si senta una vittima di fronte alla scarcerazione di un criminale che magari vuole vendicarsi del coraggio mostrato dal denunciante? Non è un alibi, ma una realtà con cui bisognerebbe fare i conti. Sono dinamiche, però, che evidentemente non interessano troppo, se è vero che di queste notizie ne abbiamo rilevate tante e spesso, senza che mai accadesse nulla. Non fanno effetto, così come ormai non fa effetto l’ennesimo caso di corruzione e di infiltrazione delle mafie nella macchina della democrazia.

Ed è l’altra notizia di cui parlavamo, proveniente dalla Puglia, precisamente da Bari, dove ventuno persone sono state arrestate dai carabinieri di Bari, in una maxi-operazione contro il locale clan Di Cosola, nell’ambito di un’indagine su un presunto voto di scambio in occasione delle ultime elezioni regionali in Puglia (2015). Soldi in cambio di voto, per conto di un candidato, Natale Mariella, attraverso il suo factotum, Armando Giove, anch’egli arrestato. Cinquanta euro a voto. Una banconota in cambio della cessione di un diritto democratico. Le accuse sono pesanti: associazione di stampo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso e coercizione elettorale in concorso.

Un quadro desolante. Se fossero confermate le accuse e si arrivasse alle condanne, sarebbe l’ennesimo segno di una classe politica sempre più degradata e corrotta. Ma soprattutto di un sistema sempre più radicato. Forse, a qualcuno che siede in alto, farebbe bene a guardare le realtà locali e regionali che si volevano portare in Senato, per mezzo della riforma. Soprattutto, farebbe bene a comprendere che la qualità della politica è una questione di morale, di selezione adeguata e di meccanismi rigidi e inflessibili di controllo.

Ma sono chiacchiere inutili, perché il danno più grave per questo Paese è che queste notizie non fanno più notizia, al punto che nemmeno ci si accorge della loro gravità, quasi fossero abitudini, costumi usuali. Abitudini che il legislatore non sembra veramente intenzionato a cancellare. Sempre che, tra un dibattito e una polemica elettorale, torni a trovare il tempo per legiferare.

Redazione–ilmegafono.org