L’inchiesta che Repubblica ha pubblicato qualche giorno fa (clicca qui) riguardante i beni artistici e archeologici in mano alla criminalità organizzata ha portato a galla uno scenario che fa rabbrividire, una realtà triste e angosciante nella quale si fa sempre più evidente l’enorme potere nelle mani della mafia. In seguito ad un’indagine durata diversi anni, i carabinieri del nucleo Tutela del Patrimonio Culturale (TPC), in collaborazione con l’FBI, sono riusciti a scovare un immenso deposito di opere d’arte appartenente a uomini vicini a Matteo Messina Denaro, il nuovo capo dei capi della criminalità siciliana. Nella fattispecie, secondo gli inquirenti, a capo di questa grande associazione volta a deturpare il territorio italiano vi sarebbero stati Gianfranco Becchina e Giuseppe Fontana, entrambi molto vicini al boss trapanese.

Gianfranco Becchina è un vero e proprio intenditore d’arte: grandissimo commerciante, ha fatto affari con i musei e gli acquirenti di tutto il mondo, tra cui la ben nota coppia americana composta da Shelby White e Leon Levy, ai quali è stata dedicata un’ala greco-romana all’interno del Metropolitan Museum di New York. Peccato che i tesori presenti nella stessa ala siano in gran parte provenienti dagli scavi clandestini effettuati dalla mafia in Italia.

Anche Giuseppe Fontana è un vero conoscitore d’arte ma, a differenza del primo, è stato arrestato nel 1994 per traffico di stupefacenti e di armi e per associazione mafiosa. Fontana, secondo gli inquirenti, avrebbe avuto il compito di rifornire l’arsenale di Denaro proprio con i proventi del traffico d’arte. Ciò che accomuna entrambi, comunque, sono gli immensi depositi scoperti in Svizzera (si tratta di migliaia di opere) e di cui si è parlato poc’anzi.

A dire il vero, tali depositi vennero scoperti già nel 2001 proprio a seguito di un’indagine nata diversi anni prima dal coraggio e dalla voglia di verità di Paolo Borsellino e che poi, a causa di forze maggiori, venne trasferita a Gian Carlo Caselli. Purtroppo, però, l’inchiesta portò ad un nulla di fatto e i tesori non vennero mai ritrovati. Nel 2001, come detto, le forze italiane e americane sono riuscite a riprendere in mano l’inchiesta e ciò ha portato ad una scoperta per cui soltanto oggi, a circa 14 anni di distanza, si può cantar vittoria. Infatti, a breve, i tesori ritrovati torneranno in Italia e sarà compito dello Stato, insieme alle regioni private degli stessi reperti (in questo caso, la Sicilia vanta il numero di scavi clandestini più alto in Italia), fare in modo che tali tesori vengano riproposti al pubblico, alla società.

Ma cosa c’è dietro una vittoria così sofferta ed importante?

Innanzitutto, potremmo dire la vita e l’esistenza stessa di uno dei beni più antichi ed importanti del Paese intero. L’Italia, come è noto a tutto il mondo, è uno degli stati più ricchi in quanto a patrimonio artistico ed archeologico e non deve sorprendere che la mafia abbia messo le proprie mani su quello che viene considerato il quarto mercato più redditizio del crimine internazionale. Inoltre, tale indagine dovrebbe anche far riflettere su un punto da non sottovalutare, ovvero la molteplicità di interessi da cui la mafia ricava potere, denaro e forza. La mafia che si intende di arte ed archeologia; la mafia che non è solo droga e prostituzione, ma anche interesse per l’antichità (o meglio, per i ricavi illeciti che ne possono trarre). Insomma, si tratta di una criminalità poliedrica, che fa affari in più settori e che non disdegna nemmeno la bellezza dell’arte.

Purtroppo, però, a pagarne le conseguenze è sempre quella fetta di società che nulla ha a che vedere col marcio criminale ma che, al contrario, potrebbe godere al meglio di un tesoro così grande. Infatti, al di là del valore economico che certe opere posseggono, quel che davvero conta, secondo il nostro modesto parere, è la grande ricchezza culturale e storica a cui giovani e meno giovani potrebbero attingere se solo tutto ciò fosse possibile e se le istituzioni fossero più attente alla sua tutela. Più che un furto ai danni delle casse dello Stato, quello perpetuato dalla criminalità si tratta di un furto nei confronti dell’arte e della società civile che del patrimonio artistico ha bisogno.

Perché l’arte è il motore della vita dell’essere umano, è educazione, speranza, bellezza: quanto di più prezioso vi sia in questo mondo grigio e offuscato dalla negatività, dal brutto, dal terrore. Tutelare l’arte da crimini simili, rispettarne il valore, proteggerla dall’incuria significa costruire un Paese più bello, più grande e più ricco culturalmente ed economicamente.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org