Sicurezza. Un’ossessione contemporanea alla quale tutto viene ridotto. Sentirci sicuri è diventato un mantra, una formuletta ripetuta senza curarci troppo della sua correttezza. Anni di strategia del terrore, orchestrata da una parte del mondo politico e della stampa, hanno finalmente prodotto i loro frutti. Al punto che adesso, tra gli attori protagonisti, vi sono anche quei pezzi della politica che un tempo mostravano più equilibrio. La sicurezza è diventata il tema elettorale per eccellenza, da inseguire in un unico modo: mostrando chi ha più muscoli. Naturalmente non c’è spazio per i dati o per il realismo, perché smentirebbero l’esistenza di un problema, dal momento che i reati in questi anni si sono dimezzati e che la percentuale di rischio che ciascuno di noi ha di trovarsi coinvolto in un caso di cronaca è minima.

Ma sono solo numeri, ossia roba da secchioni che leggono troppi libri. Meglio ascoltare la pancia del popolo, la paura percepita dalla gente. Zygmunt Baumann scriveva che la sicurezza in realtà è un grande affare non solo per la politica, che sul tema della paura costruisce consensi, ma anche per gruppi imprenditoriali del settore, i quali hanno visto schizzare in alto le entrate per sistemi di protezione domestica e personale, un vero e proprio indotto creato da una domanda che nasce da una necessità percepita e non reale. Ma Baumann era una mente illuminata e un grande pensatore del nostro tempo, non era certo Marco Minniti, ministro dalla carriera politica di retroguardia che oggi vive l’ebbrezza del comando di un ministero decisivo per la propaganda sul tema.

Per Minniti i dati non contano, conta la paura del cittadino, “la sensazione che prova quando prende l’autobus”. In poche parole, la politica attuale non persegue il fine di educare il Paese, ascoltandolo ma poi scegliendo la via maestra del buon senso, in un’ottica di mediazione volta al miglioramento sociale e alla crescita culturale del popolo. Oggi, al contrario, essa è divenuta esecutrice obbediente degli istinti peggiori che dal popolo provengono. È solo marketing, è offerta commerciale, che ha dunque bisogno di accontentare i clienti e lo fa andando sempre più al ribasso. In nome di tutto questo, è disposta a cedere a qualsiasi orrore, a scegliere di offuscare i principi più basilari del rispetto umano e della solidarietà, persino a celebrare come un merito quello che in realtà è un dramma.

La legge sulla legittima difesa, per fare un esempio, è solo l’ultima prova di un Paese in preda a un panico immotivato, un panico che viene nutrito dalle notizie di cronaca (normali in ogni contesto umano e per di più in diminuzione rispetto al passato) che vengono cavalcate dagli sciacalli di vario genere per stimolare la sensazione di essere sotto assedio. Il gioco poi viene reso ancora più sporco con l’immediata associazione fra questi crimini e l’immigrazione, al punto che i tanti delitti commessi da italiani vengono quasi snobbati o comunque non suscitano mai una simile richiesta di sicurezza.

Non sentiamo mai, infatti, gli alfieri dell’autodifesa strepitare davanti all’uccisione di qualcuno da parte del proprio vicino o familiare o delinquente, tutti rigorosamente autoctoni e occidentali. Ancor meno li sentiamo quando la vittima è un migrante o un cittadino di origine straniera. Un atteggiamento frutto del razzismo imperante tra i cittadini, un razzismo che la politica dovrebbe combattere e che invece asseconda, provando a incanalarlo nella via del consenso, preziosa risorsa elettorale. Allora accade che si facciano i blitz anti-immigrati, operazioni etniche per il “decoro urbano” che trattano alla stregua di spazzatura esseri umani titolari di diritti e dotati di dignità.

Oppure accade che si metta in piedi un sistema normativo che restringe i diritti dei migranti, in perfetta sintonia con un altro sistema, quello degli accordi con nazioni che i diritti umani li calpestano ma che consentono di tener fuori dalla nostra frontiera migliaia di disperati in fuga. Il ministro Minniti considera un successo gli accordi dell’Europa con la Turchia, che hanno prodotto un calo enorme degli arrivi dalla frontiera balcanica; per tale ragione considera positivi anche gli accordi con la Libia, che prevedono il controllo del confine con il deserto e il blocco dei migranti, e la consegna di dieci motovedette che da giugno saranno pienamente operative con equipaggi libici adeguatamente formati. Motovedette che preleveranno i migranti e li riporteranno nell’inferno libico, dove si muore ogni giorno.

Ma questo non importa al nostro ministro, che nel frattempo, in Italia, sta procedendo a programmi di identificazione e di rimpatrio. Non importa quale orrore ci sia dietro gli accordi. In questo caso, i dati e le statistiche sulla eventuale futura diminuzione degli arrivi, ad esempio, per lui contano di più. Che poi ciò significhi tortura, morte o miseria di migliaia e migliaia di persone, non è un problema della classe politica italiana o europea. Tanto meno di questo governo che fa il duro con i deboli, utilizzando parole diverse (“sicurezza”, “decoro urbano”, “legittima difesa”, “lotta al terrorismo”, ecc. ) per definire quella che è solo crudeltà. Politica e umana.

L’Italia ha scelto la strada della chiusura xenofoba, quella che vogliono le destre, i populisti e purtroppo buona parte di questo popolo cinico e incapace di crescere culturalmente e capacissimo di mostrare la falsità assoluta di quella stupida etichetta di “brava gente” alla quale qualcuno ancora crede.  Un popolo fatto anche da magistrati che sguazzano nel proprio narcisismo e lo fanno lanciando accuse su chi ogni giorno fa quello che questo Paese e l’Europa non fanno: occuparsi dell’umanità, della vita, della dignità delle persone. Magistrati seduti comodamente a vomitare un mare di parole contro chi in mare ci sta e per le parole non ha tempo, perché bisogna spingere avanti le mani per salvare più persone possibili dalla morte.

C’è un clima pesante che fa vittime, non solo in mare ma anche dentro le città, dove a uccidere sono l’emarginazione, l’odio e la xenofobia, dentro un Paese nel quale negli ultimi giorni due migranti si sono suicidati a Milano, tre sorelline di etnia rom sono state uccise a Roma e un altro migrante è stato trovato morto nel mare di Siracusa, con la procura che ha aperto un fascicolo per omicidio: tutte persone che risiedevano da tempo in Italia. Di fronte a tutto ciò, è una bestemmia accettare la retorica della “legalità”, la versione che ne danno le istituzioni italiane ed europee. Ed è una bestemmia pensare che tale retorica debba prevalere, con tanto di fango, sull’umana solidarietà di chi mette la vita delle persone davanti a tutto, lottando contro l’indifferenza, i muri e i formalismi paranoici di un sistema perverso e brutale alimentato da una sfilza di burocrati spietati e di legislatori demoniaci.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org