Il sound dei Plants è un bell’agglomerato di vibrazioni coinvolgenti, una musica di compagnia in cui si scorgono tantissime sfumature delle quali si potrebbe parlare per ore senza arrivare a definire con assoluta certezza un genere musicale. Quello che viene fuori dalle tracce di questi nostri musicisti, infatti, è un sound molto variegato che mischia al suo interno molte esperienze e tradizioni del passato, arricchito da un impasto un pizzico elettronico e molto riverberato, che sa molto di futuristico.

Un rock che si trasforma in punk e viceversa, entrambi imbevuti di suoni riverberati che danno la perenne sensazione di vuoto, di oblio, di spazio infinito. La batteria fa il suo sporco lavoro alternando ritmi accesi ad altri più pacati, con la strumentazione che la segue pedissequamente sporcando ogni tanto il quadro sonoro con qualche accordo noise o qualche saturazione dell’amplificatore. Un sound riassunto nel loro ultimo lavoro in sala di registrazione: si chiama “Tales from the Space Echo” e rappresenta il loro esordio discografico ad alti livelli.

L’album è composto da 8 tracce inedite, in cui la sensazione principale durante l’ascolto è sempre e soltanto quella di essere immersi, appunto, in una sorta di avventura spaziale: a volte si fluttua candidamente godendo dell’assenza di gravità, altre volte sembra invece di essere a bordo di una navicella che a tutta velocità si insinua tra nubi di asteroidi.

Ed è proprio questo il segreto vincente della produzione: l’alternanza di ritmi e melodie, di calma e adrenalina, posti all’interno di uno stesso contesto musicale, che è quello del punk-rock o del post-punk; un contesto che peraltro, pur attingendo dalle esperienze compositive degli anni ’90, risulta molto attuale e quindi capace di ottenere molti riscontri positivi, soprattutto dalle generazioni di ascoltatori più giovani e, dunque, più propense verso un tipo di musica dal sapore futuristico.

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Manuele Foti -ilmegafono.org