Avete mai risposto alla domanda, che sembra quasi un aforisma zen giapponese: “Se un albero cade in una foresta senza che ci siano spettatori alla scena, l’albero produce un rumore cadendo?”. La risposta a questa frase, alla base della filosofia di Berkeley, è No. Immaginiamo invece di applicare questo principio a un’opera d’arte: se un artista produce un bellissimo quadro, e quest’uomo è considerato un maestro nella sua arte, ma quest’opera non è mai stata vista da nessuno, come possiamo noi essere sicuri che si tratti di un’opera d’arte?

Cesare Brandi, teorico d’estetica e di restauro, diceva che un’opera d’arte esiste solo a partire da quando viene osservata e percepita dal fruitore come tale. Quindi, come per l’albero, se nessuno la osserva, essa non esiste. Mi piacerebbe sapere se Alberto Burri, quando ha progettato il Cretto di Gibellina, sapeva che la sua sarebbe stata un’opera senza visitatori. Di sicuro non aveva pensato che il cantiere si sarebbe interrotto per 30 lunghi anni dopo la sua morte e che, per il centenario della sua nascita, la Regione Sicilia si sarebbe finalmente resa conto della fortuna che ha a “conservare” una delle opere di Land Art più importanti al mondo. Per questa occasione l’opera è stata finalmente completata.

Son sicuro che la maggior parte di voi, come era per me fino a qualche anno fa, non sapesse nemmeno dell’esistenza di questa “cosa”, e magari la snobba pure, perché se non la conosce vuol dire che nessuno gliene ha parlato e se nessuno ne parla vuol dire che non vale neanche la pena sapere di cosa si tratta. Questo discorso logico, per quanto sembri strano e perfettamente combaciante con il pensiero del siciliano medio, è in realtà il risultato di 30 lunghi anni in cui Gibellina è stata celata agli occhi degli uomini. Da chi? Dalla Sicilia e dai siciliani stessi che a volte, invece di abbracciare il prossimo, lo respingono.  Gibellina risulta infatti praticamente irraggiungibile anche da chi abita la stessa provincia di Trapani. E questo ci sembra assurdo.

Ora, non vogliamo soffermarci in questa sede sul perché in tutti questi anni non si sia fatto niente, ma, visto che oggi si sta facendo qualcosa, vorrei (e spero di non essere l’unico) che quest’opera fosse resa maggiormente fruibile, migliorando il sistema viario che la collega alle arterie maggiori. Perché un’opera non fruibile è, a nostro avviso, un’opera che in pratica non esiste. Si potrebbe obiettare che oggi, grazie alle moderne tecnologie e a internet, questa sia una mezza verità. Ma non vi sembra assurdo che chi abita nei pressi di una delle opere di Land Art più grandi al mondo sia costretto a guardare su internet le foto dei pochi temerari che si son spinti fin là?

Oramai, dopo tanti anni, il Cretto è finito e si pone il quesito del restauro della parte realizzata da Burri, quella originale. Mi direte: “Ma come? Di già?”. Si, di già! Si è posto, infatti, all’attenzione di una classe dirigente dall’intelligenza acuta, un problema grosso: usando gli stessi materiali impiegati dal maestro per completare l’opera ci si è resi conto che la parte nuova è troppo pulita e chiara, e cozza con quella realizzata dal maestro, che è ormai integrata al territorio circostante ed è divenuta grigiastra a causa degli anni, della pioggia e del normale degrado di un’opera che deve (e ripeto DEVE) evolvere nel tempo, di concerto con l’ambiente che la circonda.

Quindi mi chiedo: che necessità c’è di affrontare l’enorme spesa del restauro di un’opera mastodontica, quando basterebbe lasciare al tempo e agli agenti atmosferici l’incarico di attenuare la differenza cromatica tra i nuovi materiali e quelli originali? Non si potrebbero incanalare i fondi, per esempio, per migliorare la strada che porta a Gibellina? Probabilmente no. Mi si spieghi per favore perché si continua a spendere soldi per riempire le tasche di qualcuno e non si prova il minimo rispetto per chi vorrebbe sinceramente visitare e magari pagare anche un biglietto per fruire di questo monumento di fama mondiale.

Angelo De Grande –ilmegafono.org