Una volta era Dell’Utri, oggi è la dinastia dei Casamonica. Il salotto televisivo di Bruno Vespa ha sempre una poltrona pronta ad ospitare i personaggi più svariati, indipendentemente dal retroterra a cui appartengono. Prima era il senatore condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, oggi sono i rampolli del defunto boss Vittorio Casamonica, capostipite dell’omonimo clan. Certo, a pensarci bene, il livello si è abbassato, se non altro in termini culturali (Dell’Utri quantomeno parlava un italiano corretto) oltre che per il diverso spessore dei personaggi, ma il risultato è sempre lo stesso:”Porta a Porta” ha ottenuto un ottimo share, a Vespa importa solo quello.

Ma le polemiche, giustamente, si sono scatenate, dal momento che non si comprende la ragione di invitare la figlia e il nipote di Casamonica in trasmissione, lasciando peraltro che continuassero indisturbati la loro romantica raffigurazione del congiunto, presentato come un uomo onesto, ricco per eredità e per le sue abilità di commerciante d’auto, buono come un papa, anzi come papa Wojtyla, talmente buono da regalare champagne a tutti i parenti e meritare un funerale da re. Ovviamente il tutto continuando a ripetere che le accuse nei suoi confronti sono tutte calunnie. Calunnie, proprio così. Comprese le inchieste che negli anni hanno portato ad arresti di numerosi membri di quello che è considerato il più potente clan del Lazio, con un patrimonio di oltre 90 milioni di euro, con affari che vanno dall’usura, al racket, al traffico di droga e con alleanze strette negli anni con la banda della Magliana, la ‘ndrangheta e il clan camorristico dei casalesi.

Sono tutti calunniatori, dunque, i magistrati, le forze di polizia, i giornalisti che denunciano da anni e che si trovano minacciati dalla famiglia che il capostipite Vittorio ha addestrato alla violenza e al malaffare. Ecco, Bruno Vespa ha dato spazio ai discendenti di un vero e proprio padrino, ma la cosa più grave è che non ha costruito un efficace contraddittorio che consentisse di controbattere alle menzogne e agli sproloqui dei due Casamonica. Semplicemente, la trasmissione pagata dai contribuenti, nella rete ammiraglia del servizio pubblico, ha lasciato che un criminale venisse difeso e osannato, celebrato come un benefattore, senza il minimo rispetto per le vittime della violenza e dell’oppressione che quella cosca mafiosa esercita da quarant’anni a Roma e nel Lazio.

Ma Vespa, a dire il vero, non è il solo, ad aver consentito tutto questo. Perché nei giorni immediatamente successivi ai funerali, molte testate (che ora si fanno paladine del popolo indignato), hanno dato spazio a video nei quali la figlia del defunto Vittorio e i suoi parenti hanno potuto dire le stesse cose, sempre senza un contraddittorio o una domanda scomoda. Certo, quello che ha fatto Vespa è molto più grave, perché parliamo di un programma televisivo sulla tv pubblica, ma di colleghi colpevoli altrettanto quanto lui ce ne sono stati tanti altri. Adesso la politica chiede sanzioni per il programma e per il conduttore, anche la Commissione Antimafia si è mossa e si prepara a convocare i vertici della Rai e dell’Odg. Intanto, però, quel che è fatto ormai è fatto. Vespa dirà che il compito di un giornalista è quello di raccontare i fatti, ascoltando i protagonisti, si difenderà affermando che i due ospiti sono incensurati, insomma punterà sulla linea della condotta formale.

Peccato che, al di là delle valutazioni sull’opportunità e sulla moralità di una puntata simile, risalta un altro obbligo che a Vespa sfugge spesso, ossia quello di rispettare la verità e non lasciare che un intervistato, incensurato o meno, possa veicolare e rafforzare menzogne evidenti. Lo share non può essere tutto, non si può essere cialtroni per accontentare chi lo è altrettanto o persino di più. Soprattutto il servizio pubblico, in generale, dovrebbe cercare di dare maggior spazio a chi può raccontare cose utili, invece di avvelenarci con ospiti dalla discutibile moralità o profondamente ignoranti o oltraggiosi e allergici a qualsiasi forma di decenza. Ciò vale per qualsiasi ambito di discussione: sia che si parli di mafia sia che si parli di politica, immigrazione, diritti delle coppie omosessuali, e via dicendo.

Non è più possibile che chi ha un po’ di cervello e di indignazione in più dell’italiano medio sia costretto a non accendere la tv (per la quale paga un canone) perché consapevole che non esista più un approfondimento serio, con interlocutori seri e giornalisti maiuscoli. E poi magari si trova ad andare sul web e venire a conoscenza dello scempio che si fa del servizio pubblico. È troppo sperare che, invece dei suoi rampolli, a parlare di Vittorio Casamonica ci vadano i giornalisti romani sotto scorta o i magistrati che ne hanno indagato e ne indagano il potere o i poliziotti che quel potere lo contrastano sul campo? È troppo chiedere che, allo stesso modo, a parlare di immigrazione e di rifugiati, invece di Salvini e della Meloni, vengano invitati gli stessi immigrati o i rappresentanti di ong, sacerdoti, volontari e tutti coloro che operano a tutela dei diritti degli immigrati?

È troppo sperare che l’Ordine dei Giornalisti, invece di curarsi delle tasse da riscuotere e dei crediti dei corsi di formazione, ogni tanto si occupi anche di applicare le sanzioni (che ci sono e rimangono dormienti) contro chi viola certe regole? E non solo nel caso di Vespa, ma anche di tutti quei criminali della carta stampata e del piccolo schermo che scrivono pezzi filonazisti e conducono trasmissioni spazzatura che, ogni sera, fomentano odio, false paure e razzismo? Sì, probabilmente è chiedere troppo. Soprattutto in un Paese come il nostro, dove i mediocri sono impuniti e poi persone serie come il collega Antonio Mazzeo finiscono a processo per diffamazione solo per aver fatto il proprio dovere di denuncia antimafiosa. State tranquilli se non ne sapete nulla, lui in una trasmissione della tv pubblica a spiegarvi cosa accade non lo vedrete mai.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org