Ci sono due livelli di tristezza in questi giorni. Il primo si stempera nella speranza e ti motiva nell’azione. Parlo di quella speranza di cui sono testimoni i popoli che incontro da decenni sul mio cammino di vita. Il secondo livello, invece, mi conduce in un vicolo cieco in fondo al quale c’è lo sgomento. Il primo livello: non potrà mai esistere, purtroppo, un maxi schermo dove proiettare uno ad uno i volti e i nomi e i cognomi di quelli che sono stati classificati come vittime del razzismo, del terrorismo, di bombardamenti, dello sfruttamento nel campo del lavoro, profughi, sfollati, gente in fuga. Uomini, donne, ragazzi, bambini. Meno male che la morte rilassa i volti, ricompone le espressioni terrorizzate, ridona un’aria rasserenata a chi non respira più. Perché sennò un urlo inarrestabile romperebbe l’immenso silenzio che avvolge questo povero pianeta e un diluvio di lacrime lo ricoprirebbe.

Ma quante canzoni sono fiorite da quelle bocche, quanti cori che danno voce all’anelito di giustizia e immancabilmente si concludono con accenti di speranza. Pensiamo, ad esempio, alle canzoni gospel dei popoli neri o alle ballate sudamericane. Da un pozzo indicibile di sofferenza cantano alla speranza e parlano di mondo nuovo. Quell’infinita collana di volti che una volta furono vivi e convinti che avrebbero guardato in faccia e sorridenti alla vita scorrerebbe sul maxi schermo; vittime di carnefici e saperli morti forse farebbe impazzire qualcuno: guarda cos’è capace di fare l’uomo. E lo ha fatto. Lo sta facendo anche ora, proprio ora.

Ultimamente, non solo a Parigi ma in tutto il mondo, ci sono i fabbricanti di bestiali azioni specializzati nello spezzare vite, sogni e speranze. E quindi il macello continua. Il macello della dignità, del diritto a vivere, crescere, diventare adulti e istruiti, pronti a entrare nel mondo del lavoro, a metter su famiglia, a vivere relazioni culturali e amicali con tutti. Azzerati. Ma com’è possibile allora che nell’aria si sentano quelle canzoni bagnate di speranza? Negli occhi di chi mi viene in casa ci leggo tanta tristezza e vedo però che non si sottraggono all’idea di una vita pur povera ma piena di dignità e voglia di gettare le basi per cominciare e ricominciare, con tenace volontà di esistere. Esistere come uomini. Mi contagiano di speranza e io per questo non potrò mai essere un omologato, uno che recita un copione sociale. Vivo con gente che mi dimostra che l’anima esiste e ha una musicalità che attraversa il tempo e diventa messaggio di resistenza e di gioia umile.

Il secondo livello di tristezza, invece, è la costatazione che una massa di gente sta riuscendo sempre meglio a liberarsi dal fastidio di pensare. Dimentica il dono della lingua quale strumento per comunicare e quindi discutere. Si sta ritirando nei loculi a cielo aperto che sono gli appartamenti dei condomini, nutrendosi di brontolii, negatività e pregiudizi. Mamma TV è il frigorifero ben fornito dove trovi sempre qualche stupidaggine da mangiare e fa crescere il non – uomo che nulla ha da dire in società. INTERNET segue come ruota di scorta nell’operazione di distruzione di massa dell’anima. Evidentemente la tecnologia si è ridotta a un ulteriore strumento di potere sulle masse piuttosto che pensare a servirle.

Quante superficialità si sentono sugli immigrati, quanti assurdi atteggiamenti vengono sciorinati davanti a ciò che accade. I ragionamenti che si sentono somigliano a vaneggiamenti di ubriachi dentro una bettola. Anche in televisione. Che speranze abbiamo se il cervello è solo un soprammobile da esibire sul collo? Se chiunque parla lo fa sempre a partire da un interesse personale o corporativo o nazionalistico? Lasciamo campo libero alle bestie feroci che si stanno mangiando la società e le risorse della terra. Nell’ottusa chiusura mentale lasciamo che gli imbecilli arrivino addirittura a governare. Facciamo i democratici e diciamo di rispettare ciascuno per come vive e per come pensa, ma la realtà è che non ce ne frega proprio niente di nessuno: ognuno faccia quel che vuole e si arrangi.

Ed è gravissimo che le religioni, quella cristiana e quella islamica, subiscano senza saper dire una parola chiara, pulita, credibile. Unica eccezione è papa Francesco, un grande, una luce per me. E guarda caso, guardate quanti cani gli abbaiano dietro timorosi che gli tolga l’osso dalla bocca. Guardate come elegantemente lo silenziano o cercano di silenziarlo. Ma Francesco ha dalla sua la forza del vangelo, quel vangelo che fa paura, guarda un po’, anche alle gerarchie ecclesiastiche.

Credo che siamo finiti in un vicolo cieco. Parigi probabilmente è un altro sintomo di un cancro che và maturando senza anticorpi che lo contrastino. La famosa terza guerra mondiale “a macchia di leopardo” potrebbe unificare tutte le macchie e diventare globale. Ma non sarebbe una tragedia. Troverebbe una massa di morti di dentro. Al massimo causerebbe cadaveri. I pensieri e i forti sentimenti ce li stiamo giocando tutti già da qualche tempo. Dopo i fatti di Parigi, dopo esserci fortemente emozionati, tutto si ri-appiattirà. Non è successo niente. E in questo vuoto di comunicazione, di pensiero, di relazioni i mostri continueranno a svilupparsi: i bastardi e allevati terroristi dell’ISIS, i governi scemi già pronti a bombardare e che mai parleranno delle radici dei mali che ci affliggono. E da noi i Salvini, i Vittorio Feltri, i Belpietro, i Giuliano Ferrara, i Bertone eccetera eccetera e ancora eccetera.

Padre Carlo D’Antoni –ilmegafono.org