Chiudiamoci le orecchie e tappiamoci gli occhi davanti a certe dichiarazioni. Per fortuna Fabo non le ha dovute sentire quelle frasi farneticanti. Lui che è rimasto lucido fino alla fine, lui che non ha fatto sconti a chi, in nome di falsi principi etici, continua a pontificare sul dolore altrui. Lui che ha dato una lezione di dignità a chi la dignità non l’ha mai difesa, né probabilmente la possiede.

Italia, 2017. Una nazione ipocrita, nella quale i malati sono spesso lasciati soli, con intere città prive di strutture e di assistenza gratuita per i malati più gravi e per quelli terminali. Il tuo dolore te lo devi tenere, i tuoi soldi, se ce li hai, li devi spendere per curarti e farti assistere. Se poi proprio non hai speranze, allora hai poco da fare. Devi aspettare di morire tra mille sofferenze. I fan del cilicio ti applaudiranno. Ti riempiranno di parole sull’importanza del dolore, comodamente seduti al tuo capezzale. Ti riempiranno di parole sul valore della vita, fino all’ultimo respiro. Lo hanno ripetuto anche in questi giorni, affermando il loro concetto con urla rabbiose, persino con insulti.

Fabo è morto, ma Fabo amava la vita e le dava valore. Lo ha scritto, lo ha detto, ha raccontato il suo spirito ribelle, l’amore per la musica, per i viaggi, per le moto. Era un ragazzo riempito dalla vita. Ma a un certo punto si è trovato spezzato. In mezzo a dolori terribili, a una sofferenza che non riteneva più giusta. Non sarebbe più guarito. Semplicemente non ce la faceva più. E aveva tutto il diritto di scegliere. Avrebbe voluto farlo in Italia, nel suo Paese che aveva amato. Non è stato possibile. Perché? Perché nessun parlamento ha mai voluto fare quello che una nazione laica, civile, democratica, a misura di cittadino dovrebbe fare: legiferare e regolamentare il fine vita. Farlo senza inquinamenti ideologici, senza ingerenze, né isterismi. E soprattutto senza ipocrisie.

Perché quando si lega l’eutanasia a una questione etica, lo si fa solo per mettere le mani avanti e scoraggiare qualsiasi discussione. Si dice troppo spesso che sia “una questione etica” e, dunque, complessa, difficile da affrontare, quindi meglio lasciar perdere, aspettare. Si vedrà. Faremo, vedremo, valuteremo. Parole che chi è costretto a sentire il dolore bussargli dentro e mordergli la vita non può permettersi. Ogni sillaba di quelle frasi di attesa è un rantolo, un respiro rotto, una fitta terribile. Allora basta con le parole, non solo di chi apre la bocca per vomitare indecenze pari al marciume della propria coscienza, ma anche di chi esprime cordoglio, solidarietà, vicinanza umana ma poi non muove un dito per cambiare le cose.

Se davvero si vuole rendere onore alla vita di Fabo, alla sua scelta, alle sue ultime parole, così come a quella di Piergiorgio Welby e tanti altri che hanno dovuto lottare con uno Stato ottuso oltre che con il proprio male, allora si approvi la legge sul fine vita assistito. E si smetta di presentare il tema come una libertà di suicidio. Qui stiamo parlando della scelta consapevole di un malato che non vuole più sobbarcarsi il dolore dell’agonia. Si può perfino concordare con chi crede che, grazie alla medicina e all’evoluzione tecnica, anche con la respirazione artificiale si possa vivere una vita degna di essere vissuta, ma lasciamo che chi certe cose le vive sulla propria pelle e non se la sente, non la pensa così, non sopporta più il dolore, possa scegliere di porvi un termine.

Per questo continuo a pensare che qui non siamo di fronte a una questione strettamente etica. Qui non siamo di fronte a un dibattito su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Qui siamo davanti alla libertà individuale. Non c’è alcuna violazione del valore della vita. In Svizzera devi essere capace di intendere e di volere e il percorso che conduce all’eutanasia è complesso, lungo e può essere interrotto anche un secondo prima del suo finale drammatico. I medici non spingono verso quella soluzione, ma accompagnano. E molti malati, come racconta l’associazione Luca Coscioni, spesso rinunciano. Non è quello il punto della questione. Il punto è fare in modo che ciascuno di noi (perché potrebbe toccare a ciascuno di noi) possa scegliere.

Uno Stato che non ti permette di farlo è uno Stato del dolore, che ti costringe a soffrire in nome di una inspiegabile etica infarcita di dogmi. E non è nemmeno colpa della Chiesa, come molti pensano. Almeno non direttamente. La Chiesa rappresenta un credo e segue le sue norme e i suoi principi, che dovrebbero appartenere solo ad essa: inutile, stupido e insensato attendersi cambiamenti di posizione. Il problema è lo Stato. Il problema sono tutti quei baciapile istituzionali, falsamente credenti, drogati dalla smania di piacere agli ambienti ecclesiastici politicamente più potenti e retrogradi, per ricavarne appoggio e potere. Sono lobby che tengono in ostaggio il parlamento e il Paese.

La colpa è soltanto loro, che sono sovversivi della democrazia nel senso peggiore del termine. Sono nemici della nazione, dei cittadini, dei loro diritti e delle loro libertà. Pertanto è assolutamente blasfemo assegnare a questi gruppi di individui principi di natura etica o morale. Non ne hanno una. Così come non ce l’hanno quelli che, con le facce buone, ripetono che il dibattito è necessario, ma che ci sono molte cose da valutare, eccetera eccetera. Bugiardi. Il dibattito va avanti da quando chi scrive non era ancora maggiorenne. E tutto questo tempo perso ha significato dolore, un dolore carceriere per tante, troppe persone imprigionate, cittadini che pagano le tasse perché si aspettano in cambio una nazione più moderna e giusta.

Quella che non siamo noi, impantanati nell’ipocrisia di false ed estenuanti guerre tra cacciatori di dote politica e parolai inerti. Si salvano solo i Radicali, che su questo tema non hanno mai smesso di lottare sul serio, di presentare proposte, di rimetterci personalmente. Inascoltati da un Paese che forse preferirebbe che quei malati giunti al termine si suicidassero in solitudine, senza clamore particolare, oppure continuassero a soffrire, sempre da soli, in nome di uno Stato che non li ascolta. Con buona pace della nostra ipocrisia.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org