L’eccezionale diffusione data alle notizie (anche le più insignificanti) del recupero del relitto della Costa Concordia deve far pensare. È solo l’ultima pagina di una storia, la nostra, che esalta troppo la ripresa per non pensare mai alla colpa. Elogio continuo delle “risalite” e blanda condanna delle “discese ardite”. Un processo mentale collettivo che rifiuta la responsabilità sempre, tranne quando può trasformarsi, facilmente, in fiera della forca. Perché restano i fatti. E i fatti, almeno qualche volta, sono semplici. Un colosso si è incagliato accanto a un’isola. Qualcuno guidava quel colosso che era di proprietà di altri.

Chi guidava, il comandante, è l’unico imputato nel processo. Il fleet crisi coordinator di Costa ha patteggiato, un anno fa, una pena di due anni e dieci mesi. Le ricostruzioni romanzate che tanto ci piacciono, i paragoni col destino dell’Italia sono argomento buono per un inutile onanismo intellettuale. Meglio sarebbe capire, una volta per tutte, di chi è la colpa e magari, a volte serve, cercare di evitare un bis. Perché nella tragedia immane, l’ambiente ne ha risentito meno di quello che avrebbe potuto e con esso i danni collegati a una zona che è un tesoro per tutto il Paese.

Ho sempre il vago sospetto che dietro episodi come questo si celi il bellissimo adagio “ma che vuoi che succeda?”. Forse l’unica ricostruzione romanzata che vale la pena di tessere è proprio quella di vedere nella tragedia quella flessibilità che si biasima solo quando si trasforma in tragedia collettiva. Le responsabilità dei singoli servono alla famosa fiera della forca. La mentalità collettiva è più difficile da condannare. È banale ma val la pena di ribadire che ci sono un pugno di cose che, semplicemente, non vanno fatte.

Tra queste, anche, vedere dentro le case dei gigliesi da un palazzo galleggiante di 5 piani. Anche se ne risente il pubblico e il sipario cala tra un po’ meno applausi. Come sempre anche sullo smantellamento non sono mancate le polemiche. La nave poteva essere smantellata da settembre a Piombino. Il tempo saprà dire se sul conto delle responsabilità dovremo mettere anche le famiglie dei disoccupati della zona. Perché sì, le tragedie creano indotto di disperazione e l’economia continua a strangolare. Che fosse andata a Piombino o a Genova, qualcuno, comunque, ci avrebbe rimesso. Ma queste colpe di solito si chiamano congiunture economiche.

Penna Bianca -ilmegafono.org