La bellezza, nel suo significato più profondo e non commerciale, dovremmo imparare a tutelarla, a renderla punto di riferimento, nodo centrale di quel bene comune capace di mettere insieme valori, leggerezza, educazione al futuro e sviluppo sostenibile. La bellezza, invece, in questo Paese, continua ad essere un peso, una macchia da cancellare, il bersaglio per la crudeltà e l’idiozia o per chi brama profitto ad ogni costo. La bellezza, in questi ultimi giorni, ha subito un assalto furioso, soprattutto in Sicilia, in una terra incantevole che continua a farsi sfregiare dai propri figli e dai loro complici.

Ancora una volta, infatti, con l’entrata nel vivo della stagione calda, il fuoco divampa e distrugge aree di grandissimo pregio naturalistico. Polmoni verdi, regni di biodiversità, ricchi di flora, fauna e di quella macchia mediterranea che è sempre più a rischio, sotto la minaccia degli incendi, ovviamente quasi totalmente dolosi. La Sicilia brucia, come se non bastassero i tanti scempi che, ad esempio, hanno già depredato l’isola delle spiagge e delle scogliere più belle, grazie al proliferare selvaggio di lidi, stabilimenti, alberghi e villaggi turistici, a cui capitanerie ed enti hanno distribuito concessioni illegittime o discutibili, spesso al limite (e anche oltre) della legalità.

Tornando a questa orrenda settimana di fuoco, le fiamme hanno attraversato quasi tutte le provincie: da Palermo a Trapani (lambendo Scopello e la riserva dello Zingaro), al ragusano, a Pantelleria, all’Etna, con la distruzione della pineta di Nicolosi, fino al cuore della prestigiosa riserva di Cavagrande del Cassibile, nel siracusano. Quest’ultima, sita tra le rocce dei monti Iblei e formata dal corso del fiume Cassibile, è un canyon dalle pareti ripide, profondo fino a 250 metri, che si estende per una decina di chilometri e occupa circa 2.760 ettari, costituendo una delle aree protette più grandi e importanti della Sicilia. Adesso è andata in fumo quasi completamente, con tutto quel patrimonio inestimabile che la rendeva unica e attirava migliaia di turisti che ogni anno si recavano in visita per assaporare la bellezza del panorama, l’incanto della biodiversità, la meraviglia dei freschi laghetti.

Non è la prima volta, ma di sicuro si tratta di uno degli incendi più dannosi, che al momento ha determinato la chiusura del sito. Niente accesso ai turisti. E chissà quanti anni ci vorranno per rimettere a posto le cose. Sempre che ci sia la volontà di farlo, perché adesso si discute del futuro di una riserva che le istituzioni non riescono a difendere. Né dal fuoco né dai tentativi di speculazione che qualcuno vuole compiere a suo discapito. L’area, infatti, rischia ancora di trovarsi circondata da una discarica di rifiuti che una società, la SoAmbiente, vorrebbe costruirvi proprio a ridosso (leggi qui). Nonostante il vincolo ambientale, le proteste, le azioni intraprese dal Comune di Noto, la revoca delle autorizzazioni a seguito di un’informativa della procura di Agrigento, il rischio è ancora concreto. Soprattutto ora che il fuoco ha messo in ginocchio la riserva.

La matrice di tutti questi roghi è dolosa e solleva le solite polemiche sull’inadeguato sistema di prevenzione, tutela e intervento. La Regione si difende e parla della sospettosa coincidenza tra la mancata predisposizione del servizio aereo (Canadair ed elicotteri) e lo scoppio degli incendi. Resta il fatto che qualcosa accade e che ogni volta si discute solo di fronte allo scempio compiuto, tra accuse, il solito sospetto che la questione contrattuale dei forestali sia la causa di tali roghi, che sarebbero dunque un folle mezzo di protesta per costringere chi di dovere a sedersi a un tavolo, il sospetto della matrice mafiosa, e così via. Soprattutto, rimangono le lacrime per l’ennesima violenza contro la bellezza e i polmoni di questa terra.

Perché in Sicilia, non si arriva mai prima, non si interviene mai in maniera preventiva. Vale per ogni cosa.

Si consente che le spiagge vengano sottratte da chi ne vuole sfruttare ogni centimetro per business stagionali, al prezzo di snaturare la vocazione al silenzio e al contatto con la natura che appartiene a molti tratti di costa (si veda il caso dell’Isola delle Correnti, vicino Portopalo), sfruttando le normative incomplete e non eseguendo i controlli amministrativi necessari; si consente il rischio di discariche dentro aree a protezione speciale e di interesse comunitario; si lascia che i petrolieri possano devastare il nostro mare e la nostra terra; si consente al fuoco di agire indisturbato su boschi, cave, riserve naturali che in altri posti del Paese sono ben protette e diventano volano di attività turistiche e sportive sostenibili legate alla loro bellezza e al rapporto con la natura.

Di fronte a tutto ciò, contano davvero poco le responsabilità e i rimpalli di accuse. Le chiacchiere stanno a zero, perché il danno ormai è fatto, per l’ennesima volta. Il silenzio arriverà presto, nessuno farà niente, chi scippa continuerà a farlo e a sottrarre sempre più parti di questa isola, uccidendone la bellezza. Fino a quando non ne resterà più traccia. Il gattopardismo, d’altra parte, non è mai morto, gode ancora di ottima salute. E ce ne accorgiamo, ahinoi, ogni giorno.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org