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Non volevo parlarne, ma non se ne può più. Quando è troppo è troppo. È possibile che nessuno si senta schifato da come la stampa, quasi tutta, ha trattato e tratta ancora la vicenda del piccolo Loris Stival? Ma noi giornalisti, invece di fare inutili corsi a punti, non potremmo essere costretti a fare corsi di umanità?

E se questa madre dovesse essere innocente? Se si scoprisse che dice la verità e che non è stata lei ad ammazzare il figlio? Se davvero non vi sono certezze, come sostiene l’avvocato difensore, e questa ragazza si trovasse ingiustamente in galera, insultata costantemente dai vicini di cella? Come si farebbe a recuperare serenità dalla quantità di cose che si stanno scrivendo e dicendo? Praticamente hanno scandagliato la sua vita, hanno raccontato i suoi dolori di ragazzina, fatto parlare i familiari che non hanno perso tempo, anche solo quando ancora non era indagata, per sputare parole di fuoco contro di lei, descrizioni che non hanno un contraddittorio, ma che tutti prendono per buone, come se le famiglie fossero centri di verità e non, spesso, fucine di odio personale e di rancori violenti. Hanno descritto la sua fisionomia come quella di una debole con problemi psichici e immediatamente hanno collegato, sulla base di chissà quale teoria, questa debolezza alla possibilità di uccidere e di compiere un delitto così efferato.

 Nessun dubbio. “La macchina che passa dal canalone è quella”, “la sagoma” (una sagoma, non un’immagine chiara e vivida, a quanto pare) della persona che rientra in casa è il bambino (da dove esca poi la madre con il corpo agonizzante del bambino non si è ancora capito), la strada ad andatura normale la si fa in meno di un quarto d’ora, ecc. Ci sono contraddizioni e coincidenze. Nessun dubbio. Coincidenze. Ma le prove? Si può condannare mediaticamente prima di un processo? Si può accusare una persona di un delitto così atroce, con titoloni in prima pagina, senza avere la certezza assoluta che sia stata lei? Si possono far passare su giornali, tv e su queste stramaledette e orribili trasmissioni che non fanno altro che pescare nel torbido e sostituirsi ossessivamente alle stanze dei Ris o delle procure, notizie così personali, intime di una persona, sia anch’essa un imputato, un indagato o un reo confesso?

 È accettabile che si violi la privacy di qualcuno relativamente a una paternità non naturale, ai tentativi di suicidio, al fatto che da bambina ti abbia seguito uno psicologo? Tutte le stronzate che firmiamo per avere una stramaledetta informazione in un ufficio pubblico o tutti i no che riceviamo quando vogliamo sapere come sta un nostro amico ricoverato appena accompagnato in pronto soccorso, che fine fanno quando si spiattella in pubblico il privato, presente e passato, di una persona?

E la magistratura ha il diritto di lasciare che passino queste informazioni? Sì? Allora spieghi anche quali sono gli elementi di prova certi che hanno portato all’arresto di una donna che, dopo ore di interrogatorio, continua a proclamarsi innocente! E poi un consiglio: si eviti di parlare di omertà, se poi si lascia che un fatto di cronaca diventi pastoia per i mass media. Perché tra l’altro si rischia di dare l’impressione che alla fine si prendano determinate decisioni solo per assicurare alla folla (quanto odio la folla di linciatori verbali o fisici!) UN colpevole e non IL colpevole.

 Attenzione, non metto in dubbio che la donna possa aver compiuto il fatto e che magari decida nelle prossime ore di confessare, ma viste le stranezze di questo caso e le poche certezze sulle prove, non metto nemmeno in dubbio, a priori, che possa essere davvero innocente come lei dice e come sostiene il suo legale.

Quello che metto in dubbio, invece, è il buon gusto di questo Paese di telespettatori, di giornalisti privi di umanità e rispetto, di cittadini che lasciano i divani per trasferirsi sul palco dei forcaioli con le certezze assolute tratte dalla diseducazione mediatica e non di certo dall’indagine, che ancora è in corso alla ricerca di ulteriori elementi che possano confermare quanto stabilito.

 Siamo veramente alla frutta. E purtroppo a volte non digeriamo nemmeno quella.