Ci sono nomi noti e meno noti, ma storie identiche, vicende drammatiche piene di dignità e onestà difese fino alla fine, fino al sacrificio estremo. Nell’Italia di oggi, di racket si parla poco, o meglio se ne parla principalmente quando la cronaca ci racconta gli arresti o, periodicamente, qualche denuncia. Ma la lotta alle estorsioni è lotta quotidiana compiuta da commercianti e imprenditori onesti e dalle associazioni che agiscono in contesti, molto spesso, estremamente complicati. Come ogni lotta, anche questa ha i suoi simboli e i suoi martiri, esempi da custodire, da non dimenticare per evitare che possano essere uccisi una seconda volta. Dall’oblio e dall’indifferenza di un’opinione pubblica distratta. Ci sono nomi noti e meno noti, dicevamo.

C’è Libero Grassi, con la sua battaglia solitaria, la sua avanguardia di libertà in un’Italia inerte che lo guardava combattere fino a quando non se lo è trovato a terra, ucciso dalla vigliaccheria degli imprenditori siciliani, dall’immobilismo ottuso della politica e di una parte della magistratura di quei tempi. Ma dietro Libero Grassi, uno dei precursori che oggi viene commemorato da tutti, c’è un universo di altri imprenditori, piccoli e medi, di semplici lavoratori schiacciati dalle mafie, puniti per aver denunciato, per non aver piegato la schiena. Molti hanno perso tutto, molti non hanno retto alla solitudine di uno Stato che non riesce davvero a garantire una vita pienamente normale, altri ce l’hanno fatta solo grazie al sostegno e alla vicinanza delle associazioni.

Altri ancora, non pochi purtroppo, sono morti. Sono stati uccisi e spesso i loro nomi e i loro esempi non sono diventati di dominio pubblico. Non sono arrivati a tutti gli italiani. Sono rimasti soli, anche nella morte. Una delle ragioni che ha animato, dieci anni fa, la creazione di questa sezione “Legalità” sul nostro sito è stata proprio la necessità di raccontare storie o di far conoscere persone che hanno combattuto con coraggio fino alla fine. Ecco perché oggi riteniamo doveroso ricordare Antonio Ciardullo ed Ernesto Fabozzi, uccisi dalla camorra il 12 settembre 2008 tra i comuni di San Marcellino e Trentola Ducenta (Caserta). Venti colpi di pistola sparati su due innocenti.

Ciardullo era un piccolo imprenditore, possedeva un’azienda di trasporti. Il suo assassinio, eseguito da affiliati legati al gruppo del sanguinario boss Giuseppe Setola, fu una vendetta, in quanto egli aveva denunciato, dieci anni prima, un esponente di un clan per estorsione. La camorra non dimentica. Fabozzi, dipendente di Ciardullo, venne invece ucciso perché durante l’agguato si trovava lì, al lavoro. Le mafie non accettano chi alza la testa. Nel casertano come in altri luoghi. Noi, dal canto nostro, abbiamo il compito di combattere facendo in modo che chi denuncia non diventi bersaglio, ma abbiamo anche l’obbligo morale di evitare che chi non si piega muoia due volte.

Ecco perché dobbiamo ricordare, scandire bene nomi come quelli di Antonio Ciardullo ed Ernesto Fabozzi. Uno aveva denunciato e l’altro non aveva timore di lavorare con chi lo aveva fatto ed era a rischio. L’onestà e la dignità che lo Stato non ha saputo proteggere. Oggi, però, anche in loro nome, in quella zona ci sono imprenditori che hanno deciso di associarsi, di dire no, di scoraggiare gli estortori. Lo ha ribadito la FAI, Federazione delle Associazioni Italiane Antiracket e Antiusura, insieme all’Unione Casertana Antiracket Parete-Trentola Ducenta, la settimana scorsa, commemorando le due vittime del racket. Lo ha fatto alla presenza di cittadini, studenti, rappresentanti delle istituzioni, delle forze dell’ordine e della chiesa. Tutti insieme per ricordare e rilanciare l’impegno nella lotta a racket, usura, criminalità.

Per affermare che oggi denunciare è sempre rischioso ma meno difficile di una volta, perché qualcosa è cambiato in meglio. “Ribellarsi alla camorra – ha detto Pietro Falco, esponente dell’Unione Casertana Antiracket – è un atto giusto ma ad alto rischio di ritorsioni fino al pericolo per la propria vita se si è soli: isolati dai colleghi, dalle istituzioni, dall’opinione pubblica. La nostra esperienza associativa permette di sostenerci a vicenda, di organizzarci e di coordinarci con le forze dell’ordine, con la magistratura e con gli enti locali: questo riduce l’esposizione e quasi azzera il rischio stesso”. “Davanti alla criminalità organizzata – continua Falco – poniamo una società civile organizzata”.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Luigi Ferrucci, coordinatore provinciale della FAI, che afferma: “Noi commercianti e imprenditori aderenti alla rete delle associazioni antiracket della FAI siamo la prova tangibile che è possibile denunciare in ragionevole sicurezza. È la storia che lo dice e soprattutto il fatto che lo Stato, effettivamente non troppo presente fino agli anni a ridosso del 2008, è veramente al nostro fianco da tempo, mandando in questi territori gli uomini migliori sia tra le forze dell’ordine che nella magistratura”.

Un segnale positivo che, pur non eliminando le difficoltà e nella consapevolezza che ci sia ancora molto da fare, lascia ben sperare. Ma c’è bisogno di coscienza civile, dignità e coraggio. Ecco perché Ferrucci si rivolge agli imprenditori e commercianti con un appello: “Non è più tempo di girarsi dall’altra parte: lo dobbiamo alle vittime innocenti delle mafie e soprattutto a chi verrà dopo di noi, ai nostri figli”. Un dovere civile e morale che chi sta in alto ha a sua volta il dovere di stimolare, accompagnare, tutelare. Affinché non ci siano altre vittime e affinché il sacrificio di Grassi, Ciardullo, Fabozzi e tanti altri non sia stato vano.

Redazione–ilmegafono.org