È usanza asserire che le sentenze non dovrebbero essere commentate, perché la magistratura applica la legge e perché nei processi vengono valutati tutti gli elementi. In linea di principio, questa potrebbe essere una affermazione accettabile, se fossimo in un contesto “giusto”. Ma qui siamo in Italia, una terra nella quale la giustizia è affare di pochi e quei pochi sono di solito potenti, benestanti e soprattutto maschi. Per tutto il resto, la giustizia nella maggior parte dei casi non esiste. Per le donne, poi, ancora meno. Perché purtroppo vivono in un Paese maschilista, quello nel quale i femminicidi sono solo episodi da circondare di retorica per nascondere l’inerzia, quello stesso Paese che urla contro gli stranieri, etichettati tutti come potenziali stupratori, nonostante le statistiche e i fatti che le producono ci parlino di una percentuale, superiore all’80%, di violenze sessuali commesse da italiani nascosti nelle famiglie o tra le cerchie di amici.

Violentatori e mostri per i quali si trovano sempre delle giustificazioni che, in un circuito perverso, finiscono per essere trasformate in colpe da addossare alle donne, alle loro vittime. Colpe legate alla loro bellezza, alla procacità, al modo di vestire, alle abitudini di vita, agli orari, ai luoghi frequentati e persino ai loro orientamenti sessuali, alla loro libertà di pensiero, all’assenza di pregiudizi bigotti. Di solito queste sono le accuse che le vittime si vedono rivolgere dall’opinione pubblica media, quella stessa che usa quotidianamente con disinvoltura i termini “zoccola” e “puttana” per definire chi vive serenamente la propria femminilità, chi veste in maniera femminile, chi ha il destino di piacere agli uomini, chi sceglie di liberarsi di una storia o di un matrimonio invivibili per inseguire un amore, oppure chi semplicemente decide di avere più storie, consapevolmente.

Dalla gente, però, certe crudeltà te le aspetti, fanno male ma si sa che, da una nazione maschilista che esalta e guarda con simpatia l’uomo playboy, mentre crocifigge e fustiga la donna libera o autonoma, non puoi aspettarti qualcosa di meglio. Quello che invece non accetti, che non riesci mai ad aspettarti è che a sputare addosso ad una donna becere valutazioni morali sia un organo giudicante, una istituzione dello Stato che dovrebbe far valere le leggi, debellare le ingiustizie, sanzionare duramente le crudeltà e le violazioni della dignità umana. Allora le sentenze, almeno certe sentenze, si devono commentare eccome, soprattutto quando le motivazioni sulle quali si fondano sono indecenti.

E la più recente supera ogni limite. Sette ragazzi violentano una giovane di 23 anni, dentro una macchina, in uno spiazzo. La ragazza è ubriaca e subisce uno stupro di gruppo che le cambierà la vita, un incubo ricorrente, paralizzante, che avrebbe potuto essere letale se lei non avesse avuto la forza di chi l’ingiustizia non sa tacerla, non sa accettarla, ma sa e vuole combatterla attivamente. Lei che ha dovuto lasciare Firenze, dove i suoi sette aguzzini sono rimasti a svolgere le loro vite di sempre, seguire le proprie passioni, sposarsi, e così via. Li hanno assolti tutti. Uno era già stato assolto, gli altri sei lo sono stati pochi mesi fa. La Procura generale di Firenze non ha fatto ricorso. In poche parole la vicenda finisce qui. Niente Cassazione, niente terzo grado di giudizio.

I magistrati, nella loro sentenza moralista, hanno giudicato la vita della ragazza, l’hanno considerata consenziente, per via di alcuni piccoli aspetti della sua vita, in particolare per essere dichiaratamente bisessuale, per aver avuto qualche storia, persino perché ha continuato a vivere, dopo lo stupro, cercando di non abbattersi e “perfino” sorridendo in qualche foto scattata con amici. Hanno avuto la meglio gli avvocati degli stupratori (adesso assolti), che hanno usato ogni mezzo, facendo leva su aspetti privati della vita di questa ragazza. Per i magistrati, dunque, lei era ubriaca ma ha scelto di fare sesso con sette ragazzi dentro una macchina. Consapevolmente.

Perché se sei donna e non segui le convenzioni moralistiche di questa italietta piena di gente con la testa utile solo a separare le orecchie, siano essi impiegati, poliziotti, pizzaioli, panettieri, politici o…magistrati, allora sei necessariamente una “puttana”. E una “puttana”, nell’Italia dei puttanieri simpatici e stimati, non può avere diritti, perché la sua dignità vale zero, le sue resistenze sono impensabili, il suo corpo non può che avere accesso libero. Ci si può passare sopra in quanti si vuole, con violenza inaudita, perché tanto nemmeno per la giustizia vale qualcosa. Di sicuro non la vale per quei giudici della Corte di Appello di Firenze e per la procura generale del capoluogo toscano. E probabilmente nemmeno per la gran parte del popolo italiano, purtroppo non solo maschile.

Allora, di fronte a tutto ciò, di fronte a questa negazione di diritti, come si fa a convincere questa ragazza di avere fiducia nella giustizia? Come si fa a dare ragione alla sua voglia di denunciare e lottare? Come si fa a dire alle tante, tantissime altre vittime che si nascondono nel silenzio della paura e di un senso di colpa che non dovrebbero avere, ma che questo Paese sottosviluppato appiccica addosso alla loro mente e al loro corpo, di denunciare e di credere nella via giudiziaria? Certo, è chiaro che non tutti i magistrati sono scadenti o ingiusti, ma purtroppo ci sono anche quelli e rimangono impuniti. Le loro decisioni però restano, così come il dolore di chi ne è vittima e la tranquillità dei carnefici. Ci si augura che davvero il clamore mediatico produca le ispezioni sulla procura di Firenze e che le interrogazioni parlamentari determinino delle conseguenze.

Non lo sapremo a breve, ma intanto ci sono sette persone considerate innocenti dalla Corte di Appello sulla base di un giudizio morale, mentre rimangono dei mostri indimenticabili per la ragazza violentata alla Fortezza da Basso. Leggetela la sua lettera, che ha scritto qualche giorno fa. E anche l’intervista pubblicata su Repubblica. I magistrati di Firenze certamente non la leggeranno perché l’hanno già giudicata, forse molto prima della conclusione del procedimento. Ma voi, se avete ancora senso di indignazione, che siate donne o uomini, che abbiate mogli, compagne, figlie, sorelle, nipoti, leggete quelle parole. E tremate. Perché questo vuoto di ingiustizia riguarda tutti noi. E tutti noi, in modo diretto o indiretto, potremmo finirci dentro e non uscirne più.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org