Capitava da bambino di dover aiutare a fare la catasta della legna. Passare all’ombra della tettoia i pezzi tagliati dalla sega perché qualcuno li mettesse al posto giusto. Un gioco di incastri, preciso e complicato. È capitato di doverlo rifare, ma da solo e in fretta, convinto della semplicità del gesto. Non ci sono mai riuscito. Eppure la dittatura della semplicità e il rifiuto della complessità (intelligente locuzione utilizzata dal prof. Juan Carlos de Martin nella trasmissione radiofonica che potete ascoltare qui) ci accerchiano e minano alla base l’equilibrio delicato della catasta. D’altronde, il potere deve sapersi legittimare nella semplicità e riesce sempre a realizzare palizzate traballanti. Lo slogan, l’imposizione di binomi antitetici, l’assolutismo di Un Solo Vero, l’identificazione del nemico sono tratti comuni di chi detta idee/direttive/missioni.

È quindi sempre facile e comodo avere dei nemici. E non occorre scavare nel passato, basti pensare a quanto sta accadendo nella penisola coreana per rendersene conto oppure considerare lo jihadismo e le sue puntuali ma banali idealizzazioni. I nemici, ancora oggi, servono. Meglio trovarsene di identificabili in una categoria sufficientemente precisa ma altrettanto vasta in cui far ricadere il maggior numero possibile di idee/persone/fatti. Il famoso far di tutta l’erba un fascio. Il resto, poi, lo fa la paura. Basta agitare lo spauracchio del cattivo per far stare tutti seduti con la schiena incollata alla sedia e la testa immobilizzata dai gangli gelidi della paura. Quanto ci sta accadendo è emblematico. Il signor B. raduna un’accozzaglia di tailleur e cravatte e con un colpo di mano propone un nemico nella magistratura. Il “cittadino comune” deve temere l’Inquisizione dei giorni nostri. Hanno la toga? Orrore!

Un atteggiamento lucido e calcolato come l’identificazione dell’opposizione nei “comunisti”, una storiella da due decenni assai cara al nostro eroe. Altri “pericoli pubblici” venuti a minare la “sicurezza pubblica” erano gli immigrati per la Lega, quando galoppava felice nei sondaggi prima di rivelarsi nient’altro che un’accolita di rancorosi razzisti in larghissima parte delle sue fila. Ci sono ora le demarcazioni profonde che dividono tra grillini e non grillini. A monte di questa demarcazione c’è l’incomprensione reciproca tra le persone (non i vertici) dei due “schieramenti”.

Il messaggio veicolato (tagliando con l’accetta, mea culpa) da numerosi commenti firmati da sostenitori del M5S è estremamente semplicistico. Traccia una linea forte tra il vecchio (da buttare, attaccare, zittire) e il nuovo (meraviglioso, ontologicamente innovatore, pertanto necessariamente meno peggio rispetto al vecchio), riconducendo a queste due categorie artificiali qualsiasi opinione e legittimandosi sulla divisione che ne esce. Quando capita (sull’onnipotente web) che qualcuno li contesti senza poter cadere perfettamente in una delle due categorie, c’è il caos e l’insulto. Ovviamente tale atteggiamento non coinvolge tutti, ma di certo colui che ha più pubblico e microfoni e un discreto numero di troll su internet. Dall’altro lato si comincia a osservare in toto questo Movimento come corpo estraneo e unitariamente minaccioso.

Perché? Il berlusconismo e la tv veicolata da Mediaset in questo hanno avuto un successo estremo. Ci hanno insegnato il tempo televisivo, il tweet parlato. Ci hanno mostrato i fatti di cronaca negli aspetti più crudi mai tralasciando il volto del colpevole (prima ancora di essere definito/a tale dopo un processo). Ci hanno mostrato i cattivi con servizi giornalistici farlocchi, al limite della stupidità. Un’altra fetta di responsabilità ce l’hanno i social network, per certi versi diabolici veicoli di fandonie. Basta scorrere la homepage di Facebook, ad esempio, per individuare ad ogni ora 3-4 immagini che riportano dati senza fonti, minacce, insulti. Abbiamo, insomma, imparato a trovare il nemico, deriderlo, attaccarlo. Un esercizio che si è andato concretizzando con la personalizzazione della politica. L’identificazione delle idee con il leader separa e affetta il consenso.

Lo stesso signor B. ci ha separati tra sostenitori e oppositori, come in una qualunque dittatura, come in una qualunque guerra. Adesso che la preoccupazione offusca le menti, il semplicismo trova terreno fertile. Il talk show e l’opinionismo frettoloso di certi programmi da prima serata seminano scompiglio. Si sentono responsabilità che si rimpallano, pochi dati e confusi e teorie campate in aria su temi complicati, delicati ed estremamente specifici. Ognuno ha diritto a crearsi la sua opinione ma occorrerebbe una consistente rendita perpetua e delle giornate molto lunghe per effettuare una disamina soddisfacente di molti argomenti.

Allora basta ridurli a slogan, spolparli di sostanza e prove di fatto e gettarli in pasto al pubblico. L’informazione più “facile” non informa ma colpisce a casaccio. A pensare con il bisturi invece che con l’accetta ci si sente a disagio, occorre sempre schierarsi, in fretta. Certo è risaputo, ma bisogna sottolineare il problema e individuarlo come tale. Tutto ciò è infatti estremamente pericoloso. La semplicità forzata nuoce all’attività cerebrale, uccide la dialettica, identifica il nemico, punta dita e fucili.

Penna Bianca –ilmegafono.org